L’East End di Philip Ridley: un paesaggio per le storie

Le strade londinesi come microcosmo di relazioni sociali, tra nostalgia e repulsione - di Riccardo Pontegobbi

Philip Ridley è ormai un autore consegnato al suo tempo? Delle sue 12 opere narrative per ragazzi e delle quattro per adulti e/o giovani adulti, uscite tra il 1988 e il 2005, e poi transitate nei cataloghi degli editori italiani, sono oggi recuperabili appena due libri: la raccolta di racconti Fenicotteri in orbita e il romanzo Il cucchiaio di meteorite. Non c’è traccia delle sue opere più premiate (da Krindlekrax a Kasper nella città splendente) o di quelle più amate (in testa a tutte Dakota delle Bianche Dimore) che negli anni in cui approdarono in Italia ebbero, in alcuni risvolti di copertina, addirittura l’onore di essere candidate alla categoria (assai nebulosa) dei nuovi classici. Sarà perché l’autore da 17 anni ha rivolto altrove le sue energie creative, occupandosi di teatro, cinema e fotografia e non ha più scritto per ragazzi e adolescenti, che per i 17 anni precedenti erano stati al centro delle sue trame letterarie? O sarà perché il nostro mercato editoriale guarda soltanto con l’occhio delle novità?

   

Qualunque sia la ragione di questa assenza ― alla quale auspichiamo che prima o poi sia posto rimedio ― cogliamo volentieri l’occasione di parlare di Ridley osservandolo nel suo tempo e nella sua terra, ovvero nel periodo tra la fine degli anni ’80 e il termine dei ’90, in quel centro del mondo che, per vari aspetti ― politici, sociali, culturali ― è stata Londra e il suo East End.

La città è, allora, un universo in ebollizione, segnato dalle politiche conservatrici e neoliberiste del governo di Margareth Tatcher e dal conflitto sociale che si è sviluppato in tutto il Regno Unito come reazione alla deregulation operata dalla Lady di Ferro nella finanza, nel mercato del lavoro e nel campo immobiliare. Londra, in particolare, è in quegli anni un vero e proprio cantiere a cielo aperto. In prossimità dell’East End, la degradata area dei Docklands, prima, e quella altrettanto imponente della City, poi, sono teatro di una profonda ristrutturazione urbanistica ― addirittura seconda solo a quella post-bellica ― destinata a subordinare le funzioni residenziali a quelle del terziario avanzato. Nello stesso periodo si consolida la rivoluzione dei costumi sociali e sessuali, stimolata anche dai rapidi mutamenti che avvengono sulla scena musicale, con il progressivo esaurimento del movimento punk e l’apertura di nuovi fronti che da questo derivano. I giovani hanno comunque eletto Londra a propria capitale, si introducono stili di vita alternativi e fiorisce un’umanità mai vista finora in città.

Quanto di questo contesto traspare dai lavori di Philip Ridley, considerando doveroso distinguere tra le sue opere a impianto più realistico (quelle per giovani adulti e adulti) e quelle invece destinate ai ragazzi, nelle quali prevale un approccio decisamente grottesco-irrealistico? Nelle prime i riferimenti alla realtà sociale londinese sono più concreti: in Crocodilia (libro d’esordio del 1988) i protagonisti sono giovani artisti squatter, appartenenti alla working class, che si sono presto e malamente allontanati dalle famiglie d’origine e che si spostano da una zona all’altra della città, abbigliati e acconciati in stile punk, giovani che, qualche tempo prima, non avrebbero sfigurato sulla porta del negozio di  Vivienne Westwood  e Malcolm McLaren (manager dei Sex Pistols) al 430 di King’s Road.

E in questo luogo di trasgressione si sarebbero sicuramente sentiti a proprio agio anche diversi personaggi delle storie per ragazzi, come la stilosa Dakota (delle Bianche Dimore) o la stralunata coppia formata da Ma’ Modarock e Pa’ Punkrock nel Favoloso Scribbolo. In Gli occhi di Mr Fury e in Fenicotteri in orbita, come prima in Crocodilia, questi giovani adulti esplorano con passione le loro relazioni omosessuali e la complessità dei rapporti interpersonali che generano e le difendono tenacemente da chi vorrebbe ostacolarle e occultarle sotto un velo di perbenismo che spesso, al di fuori dell’ambito familiare, è un portato della “strada”. Sì, the street, la strada, il  micromondo che nelle opere di Ridley assurge a rappresentazione della città, icona delle relazioni sociali che si intrecciano in una comunità ristretta, ma significativa ed esemplare, di una più estesa realtà cittadina. Al di là della strada, la città è solo un vago indizio, un barlume, appena un riflesso di luci distanti. E per la città/strada, colta dall’autore nella fase di passaggio alla odierna metropoli reticolare, si possono provare stati d’animo contrastanti, come nostalgia e repulsione: ancora vi sopravvivono spazi transizionali e rapporti di vicinato; ma l’”istituzione” produce pregiudizi e pulsioni che ingarbugliano, che legano, che sottomettono.

D’altronde, l’interesse narrativo di Ridley non è certo di tipo descrittivo-realistico, la sua fabulazione punta a creare uno spazio altro, affollato dalle Storie, dagli intrecci provocati dalle relazioni interpersonali, dai drammi familiari e amicali, dalle trame dei sentimenti e delle emozioni che abitano i suoi protagonisti. Nelle opere per ragazzi questa caratteristica, funzionale anche al suo approccio teatrale al racconto, lieviterà libro dopo libro, fino a fare, ad esempio del dialogo, lo strumento stilistico totalizzante della sua pagina (in un crescendo a partire da Kasper nella città splendente, al Favoloso Scribbolo e Zinderzunder, fino all’apoteosi in Zip e il carrello magico). A questa modalità va ricondotta la semplificazione operata dall’autore nella descrizione della città, ridotta a fondale di scena, dipinto a tinte fosche e talvolta appena abbozzato con il pennello del grottesco.

Ecco così che la città reale, sventrata e in subbuglio per le riconfigurazioni urbanistiche, nelle sue opere per ragazzi assume l’aspetto sformato degli spazi incompiuti e delle vie senza nome che attraversano la new town di Zip; della landa desolata dove rimane in piedi solo il salone di bellezza della madre di Kasper; del fatiscente ”ultra-mega-spettrale” cinema, scelto a sede dello Scribbolo Fan Club in un quartiere grigio piombo; dei 34 piani del tetro e minaccioso grattacielo Puntombra regno di Mercedes Gelo…

Questo luogo d’irrealtà in cui si trasfigura l’East End è, allora, come ha dichiarato lo stesso Ridley, “un luogo dell’anima oltre che un luogo reale … il paesaggio in cui le mie storie nascono e crescono. Per me è importante come l’America del profondo Sud lo era per Tennessee Williams o New York lo è per Woody Allen” (2010).

Testo tratto da: LiBeR n. 137 (gen.-mar. 2023)


Philip Ridley

Nato a Londra il 29 dicembre 1964, Philip Ridley è un pittore, scrittore, sceneggiatore, autore teatrale e cineasta britannico e si autodefinisce "uomo del Rinascimento per l'era multimediale". Continua  a leggere...