Il tempo fuori dai cardini… Un grande scienziato ci aiuta ad esplorare le trame di Chronos

Intervista di Riccardo Pontegobbi a Guido Tonelli

Le trame del tempo, molteplici e avvolgenti, attraggono da sempre le menti più brillanti di filosofi, artisti, scienziati, letterati e, non di meno, entrano di peso nella vita e nei discorsi di tutti i giorni delle persone comuni. Proviamo qui a seguirne i percorsi, partendo dal sentiero tracciato dalla scienza, con l’aiuto di Guido Tonelli, Professore Emerito di Fisica Generale presso l'Università di Pisa e Collaboratore dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, protagonista fin dai primi anni ’80 del secolo scorso di un lavoro pionieristico sui rivelatori a semiconduttore nel campo della fisica delle alte energie. Per diversi anni Tonelli ha coordinato l'attività degli scienziati italiani che hanno contribuito a costruire l'esperimento CMS (Compact Muon Solenoid) presso l’acceleratore di particelle LHC del Cern di Ginevra. Qui, nel 2006, è stato nominato prima vice-responsabile e poi, nel 2009, responsabile internazionale dell'esperimento che ha coinvolto circa 4000 fisici e ingegneri di università e enti di ricerca di oltre 50 paesi. Nel 2012 questa attività è culminata nella scoperta del bosone di Higgs. Oltre a essere autore di centinaia di pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali, Tonelli veste anche i panni dell’abile divulgatore. Nel 2020 con Genesi. Il grande racconto delle origini, poi nel 2021 con Tempo. Il sogno di uccidere Chronos (entrambi editi da Feltrinelli), si è mosso liberamente tra fisica, letteratura, matematica e filosofia. Tempo, in particolare, è il prezioso punto di riferimento di questo nostro colloquio.

          

D. Cominciamo da ciò che, riguardo alla percezione del tempo, può sembrare un paradosso: l’opinione comune sembra ignorare quanto scoperto dalla fisica nel corso del ‘900, per rimanere fedele a una concezione di tempo assoluto e oggettivo, una sorta di apriori concettuale che, fluendo allo stesso modo per tutti, continua a dettare il ritmo delle nostre esistenze, a inanellare irreversibilmente passato, presente e futuro.
R. Questo fenomeno è abbastanza normale perché gli umani, come molte altre specie animali, hanno sviluppato un forte senso del tempo, che i biologi e i neuroscienziati hanno studiato con grande dettaglio negli ultimi decenni, senso che è risultato indispensabile per sopravvivere. Pensiamo alle condizioni dell’esistenza dei nostri lontani antenati, i quali attraverso l’organizzazione degli avvenimenti in un prima, un durante e un dopo riuscivano a stabilire nessi causali. Per esempio: “sono andato in una radura, ho trovato del cibo e questo è bene”, oppure, “sono andato vicino a un fiume dove c’erano belve e ho dovuto fuggire perché è pericoloso”. La relazione “è successo qualcosa e ne è nato un pericolo, oppure ne è nata un’opportunità” è fondamentale per la sopravvivenza. Questo senso del tempo assomiglia molto al senso che la fisica aveva sviluppato nel Seicento. È come se l’umanità avesse attraversato un’epoca d’oro, un’epoca magica durata secoli, durante la quale quello che pensava il cittadino comune, l’artigiano, il commerciante, il contadino, oppure il grande scienziato e il grande filosofo erano identici. Cioè, tutti avevano l’idea dell’esistenza di un grande orologio unico, che batte le sue ore indipendentemente da tutto il resto, una specie di tic tac assoluto che non è in relazione con gli avvenimenti e dentro il quale si svolgono gli avvenimenti stessi. Quindi, una specie di palcoscenico immutabile su cui, analogamente, veniva a proiettarsi lo spazio. Due grandezze imperturbabili, due concetti astratti non scalfiti dagli avvenimenti del mondo materiale. Quest’idea di un tempo assoluto è quindi molto radicata in noi; alla fin fine la nuova concezione del tempo sviluppata dalla fisica è ancora recente, ha al massimo un centinaio di anni. Noi siamo perciò eredi e prigionieri di una concezione che è ancora legata ai ritmi biologici e alle necessità materiali, una concezione che sul piano dello sviluppo del pensiero fino a pochi decenni fa era considerata, anche dai sapienti, la concezione più avanzata del tempo.

D. Ma il tempo ci appare anche flessibile, la percezione comune ne coglie l’elasticità, il suo dilatarsi e contrarsi a seconda dei nostri stati d’animo.
R. Una delle cose che hanno capito gli scienziati moderni, i biologi, i neuroscienziati è che la nostra concezione del tempo è dipendente dalle emozioni. Basti pensare a un terremoto e alle interviste che vengono fatte a caldo ai sopravvissuti a un sisma, quando i 20-30 secondi di scosse, nel ricordo traumatico diventano minuti interminabili; ognuno di noi ha poi fatto l’esperienza di quanto sia piacevole una cena fra amici e rendersi conto di colpo che è mezzanotte passata, quando l’impressione è che sia trascorsa poco più di una mezz’ora dall’inizio dell’incontro. Non c’è, infatti, un organo speciale deputato a misurare il tempo. Quest’operazione è compiuta dal nostro cervello che utilizza tutte le informazioni e le analizza in termini di durata e di aspettativa. Normalmente ho aspettative più o meno precise sulla durata di un certo avvenimento, e quindi confronto continuamente quello che mi succede con quello che mi attendo. Tutto questo funziona così perché i centri del cervello preposti all’organizzazione temporale degli avvenimenti sono molto vicini ai centri che gestiscono le emozioni e quindi risentono materialmente, fisicamente di questa vicinanza, per cui zone adiacenti al senso del tempo in cui vengono stimolate cose piacevoli, ne velocizzano in qualche modo la percezione, mentre zone che sono preposte a gestire l’angoscia, la paura, il panico rendono ogni istante infinito, interminabile.

D. Questo riferimento al ruolo delle emozioni nel definire il nostro senso del tempo ci aiuta a comprendere meglio la frase, a lei cara, pronunciata da Amleto nell’omonima tragedia, secondo cui “il tempo del mondo è fuori dai cardini”.
R. Trovo la bellissima citazione shakespeariana molto aderente ai tempi in cui viviamo. Guardiamo agli ultimi 2 anni, prima la pandemia ora la guerra, si ha proprio l’impressione che il tempo sia uscito dai cardini. Ci troviamo in un momento di pericolo che l’umanità si trova improvvisamente ad affrontare. Quella situazione di equilibrio pacificatore, di tempo che scorre ordinato, di giornate, mesi, anni che si susseguono, in cui si può prevedere un futuro ed essere rassicurati, di colpo si è rotta. Questo somiglia molto a quanto descritto da Shakespeare nell’Amleto, quando l’omicidio del padre perpetrato dallo zio con la complicità della madre, rompe il patto tra generazioni, il patto tra consanguinei, e tutto marcisce, tutto si avviluppa in un caos, in una confusione che si potrà superare solo quando verrà riportato l’ordine e verrà fatta giustizia.

D. Da parte di alcuni neuroscienziati si rimprovera alla fisica di negare la realtà del tempo, che la neurobiologia avrebbe, invece, dimostrato essere un prodotto del sistema nervoso centrale. Quanto hanno contribuito a questo fenomeno le equazioni dei filoni di ricerca più affermati della gravità quantistica per le quali il tempo sembra perdere importanza se non addirittura sparire?
R. Alla base di questa discussione c’è un equivoco che nasce dal fatto che alcune congetture scientifiche sviluppate negli ultimi decenni e che tendono a risolvere un problema sul quale i fisici si arrovellano da un secolo, non riuscendo a trovare una soluzione — mi riferisco al problema di dare una descrizione quantistica della gravità — assumono che l’elemento originario e primigenio della realtà dsnon sia lo spazio-tempo, ma sia lo spazio, lo spazio granulare. Penso in particolare alla teoria dell’amico Carlo Rovelli, ma anche ai lavori di Lee Smolin, che hanno prodotto la teoria della gravità quantistica a loop. Questi fisici immaginano che alla base della realtà fisica ci sia uno spazio granulare, che può essere quantizzato e da cui emerge il tempo come prodotto secondario. Non è però con questo che fanno sparire il tempo, semplicemente gli tolgono il primato di essere un componente essenziale. Essenziale per loro è lo spazio, il tempo è secondario. Attenzione però, queste sono congetture, da prendere sul serio, ma non teorie scientifiche provate da evidenze sperimentali. Purtroppo sono state volgarizzate dai mezzi di comunicazione, secondo i quali gli scienziati moderni affermerebbero l’inesistenza e l’illusorietà del tempo. Al di là della notevole suggestione esercitata da tale ipotesi sull’opinione pubblica, Rovelli afferma qualcosa di più sottile, dice che il tempo nasce come prodotto di un qualcosa di più fondamentale, che è lo spazio. Questa volgarizzazione ha fatto molto arrabbiare i neuroscienziati, che riconoscono nel cervello delle strutture che organizzano il tempo e sono decisive per la nostra sopravvivenza. Credo che bisogna fare una distinzione nel rispetto del lavoro eccezionale svolto dai colleghi delle neuroscienze: bisogna distinguere tra il tempo degli organismi biologici, compresi gli umani, per i quali valgono tutte quelle raccomandazioni e regole di organizzazione della vita che ci siamo dati e che rispettiamo. Che si sia scienziati o cittadini comuni l’orologio che scandisce i nostri appuntamenti è lo stesso. Altra è l’idea dello spazio-tempo fuori dal nostro ambito. L’idea di spazio e tempo come realtà assolute, astratte. non modificate dagli avvenimenti funziona – e funziona benissimo - finché si rimane sul pianeta Terra. Fallisce nel momento in cui si vuole usare questa concezione di spazio e tempo in angoli molto piccoli della realtà, come nel mondo delle particelle elementari. Lì non funziona, lì si vede che il tempo è collegato allo spazio ed è mutevole, elastico, plastico. Non funziona nemmeno sulle grandi distanze cosmiche dove il tempo e lo spazio dipendono dalla materia e dall’energia che hanno intorno. La scienza, esplorando quei territori così diversi da quelli che abitiamo abitualmente, ha dovuto sviluppare una concezione capace di spiegare i fenomeni che si vedono in quei territori, fenomeni che noi non vediamo; infatti, vivendo intorno a un pianeta su cui ci muoviamo a piccolissime velocità non vediamo effetti relativistici. Perciò, per noi il tempo può continuare a funzionare esattamente come presupponevano Newton e Kant.

D. Quindi il deragliamento di Chronos, messo in moto da Einstein, nei due lavori sulla relatività, avviene solo a livello dell’infinitamente piccolo, nel mondo delle particelle elementari e in quello dell’infinitamente grande, nell’universo dei corpi celesti osservato dall’astrofisica?
R. Einstein non voleva cambiare l’idea dello spazio-tempo, si poneva altri problemi, si interrogava sulla velocità a cui può andare un fotone emesso da un elettrone, visto che le equazioni dell’elettromagnetismo ci dicono che non può andare più veloce di C (velocità della luce). Ma se l’elettrone è in movimento, come fa il fotone a non superare C, a non seguire la galileiana legge di composizione delle velocità? Per non rinunciare a questo principio Einstein ha dovuto stravolgere la nozione di spazio-tempo. Conosciamo come si effettua il calcolo della velocità, dividendo cioè lo spazio, la distanza percorsa, per il tempo impiegato a percorrerla. Se però la velocità deve rimanere costante (non si può andare più veloci di C), nella formula occorre cambiare il numeratore (lo spazio) e il denominatore (il tempo). Quindi l’uno e l’altro devono dipendere dalla velocità. E qui sta la novità. Prima di Einstein si pensava che questi fossero concetti astratti, indipendenti da quello che succedeva, che si viaggiasse con un aereo, con una nave o in bicicletta. Invece, Einstein ci dice che questo è vero solo se si va a piccole velocità, rispetto alla velocità della luce. Se si potesse viaggiare ad esempio a 100.000 km al secondo, a un terzo delle velocità della luce, di colpo si vedrebbe lo spazio e il tempo che si deformano.

D. Il passaggio al concetto di spazio-tempo deformabile e dipendente dalla velocità di movimento dei corpi, quali conseguenze ha avuto sullo scorrimento di Chronos e sullo stato della materia?
R. Innanzitutto ha significato un cambiamento radicale di paradigma: spazio e tempo sono collegati tra loro e dipendendono dall’osservatore. Sull’argomento la scienza moderna dice, infatti, cose strabilianti, come il fatto che lo spazio-tempo sia una struttura materiale, materiale come un tavolo, una stanza. Persino gli scrittori di fantascienza più creativi non si erano mai immaginati che la scienza potesse dire una cosa inaudita come quella che lo spazio-tempo è un pezzo di materia, un qualcosa che contiene energia, che si può deformare, che si può far vibrare. Che è quello che vediamo con le onde gravitazionali, in seguito alle collisioni tra buchi neri. Abbiamo avuto prove indiscutibili che questa teoria è corretta, ma ci è sfuggita l’essenza materiale dello spazio-tempo, l’abbiamo vista come un concetto perché è talmente rigida che, per farla vibrare. ci vogliono buchi neri mostruosi che entrino in collisione. Nessun cataclisma umano riuscirebbe a muovere questa struttura, questa sottile rete, così rigida che soltanto immani catastrofi possono farle produrre onde dello spazio-tempo, come succede in uno stagno quando vi gettiamo un sasso.

D. Nella letteratura per ragazzi uno dei topoi più ricorrenti e affascinanti ha a che fare con i viaggi nel tempo, con il tema della reversibilità e della simmetria del tempo. Nella realtà, queste avventure saranno mai realizzabili?
R. Grazie alle teorie della relatività generale e speciale conosciamo le leggi che vincolano le possibilità dei viaggi nel tempo. Attualmente non abbiamo i mezzi tecnici, insomma non sappiamo come fare, anche se alcuni di questi vincoli ci permettono di immaginare che prima o poi si possano trovare delle soluzioni. Per esempio, viaggiare nel futuro può voler dire fare un viaggio che dura 1 o 5 anni, rientrare sulla Terra e vedere che qui sono passati 100 anni. È una forma di viaggio nel futuro, non proibito dalla scienza, che lo ritiene, anzi, possibile. Non si viola alcuna regola scientifica a immaginare che un’astronave possa viaggiare a velocità molto elevate, paragonabili a C per un certo periodo di tempo, oppure che possa avvicinarsi all’orizzonte degli eventi di un buco nero estremamente massiccio. La deformazione spazio-temporale che c’è intorno a un buco nero massiccio è tale che, magari, un mese passato nelle sue vicinanze possa corrispondere a vent’anni passati sulla Terra, perché lì il tempo corre molto più lentamente. Quello che oggi è fantascienza – non sappiamo far viaggiare un’astronave a velocità paragonabili a C, e nessuno sa dirci come raggiungere il buco nero più vicino, Saggitarius A, distante 26.000 anni luce dalla Terra – è comunque contemplato dalle leggi della fisica, e solo limitato dalla tecnologia. È come se qualcuno avesse chiesto a uno scienziato del ‘700 se l’uomo sarebbe mai riuscito a volare. Secondo le leggi della fisica del tempo lo scienziato avrebbe potuto rispondere affermativamente a questa domanda, pur non conoscendo ancora le soluzioni tecniche, messe in moto di lì a poco dall’invenzione dei palloni aerostatici. Quindi non posso che rispondere che i viaggi nel tempo sono scientificamente possibili.

D. D’altronde non sono già viaggi nel tempo, in particolare in un passato lontano 13 miliardi di anni, le osservazioni astronomiche compiute con i potentissimi telescopi elettronici?
R. Esattamente, anche se in questo caso non si tratta dello spostamento di un corpo all’indietro nel tempo, ma, non meno strabiliante, della ricezione di segnali che provengono dal lontano passato. È come se si sbirciasse nel passato, fenomeno questo assolutamente previsto e verificato giorno per giorno.

D. Nei suoi incontri pubblici le capita spesso di confrontarsi con ragazzi e giovani adulti; li trova interessati a questa suggestione della morte del tempo, alla possibilità di fermare questa macchina divoratrice che è Chronos?
R. Da parte dei ragazzi c’è molta curiosità sulle questioni generali, quali i buchi neri e la fine del tempo, mentre si percepisce un coinvolgimento diretto e personale, quando si parla della possibilità di fermare il tempo e di invertirne il corso, nelle persone più anziane. In questi casi si vede proprio nettamente come la questione del tempo che corre è inesistente per i giovani fino a una certa età. Quando si è ragazzi il tempo non corre mai, va anche troppo piano e non si vede l’ora di diventare adulti. Comunque, ho trovato una curiosità incredibile per questo tema, anche in persone che non hanno alcun interesse per la scienza e per la fisica, come se il tempo, in realtà, fosse dentro ciascuno di noi. Una qualche riflessione sullo scorrere tempo l’hanno fatta tutti, dai grandi filosofi fino ai bambini, che cominciano presto a domandare su questo argomento. È veramente una questione primordiale su cui l’umanità, non a caso, ha sviluppato teorie, filosofie e mitologie meravigliose.

D. Ancora a proposito di ragazzi: ha in mente qualche progetto editoriale che li coinvolga?
R. Sì, è in corso di pubblicazione il primo dei volumi di un progetto avviato con l’editrice Feltrinelli: il titolo è Quando si accesero le stelle. Si è trattato di adattare per ragazzi e adolescenti Genesi, il mio primo lavoro di divulgazione per adulti, che ha avuto ottima accoglienza anche tra gli educatori. Insieme allo scrittore Sergio Rossi abbiamo raccontato l’origine dell’universo, la nascita del tempo, dello spazio e della materia di cui è fatto il nostro mondo e il genere umano. Contiamo in seguito di passare alle suggestioni di Tempo, sempre utilizzando un linguaggio adeguato e il sostegno di tante belle illustrazioni.

Testo tratto da: LiBeR 136 (ott.-dic. 2022)