Soglie e interstizi, spazi privilegiati della letteratura per l’infanzia

Percorsi identitari negli spazi liminali della postmodernità - di Riccardo Pontegobbi

Quando gli spazi erano ancora luoghi (da esplorare)

Viviamo un’epoca di trasformazione nella quale è incerto il destino degli spazi aperti, delle praterie senza confine, delle smisurate marine, degli immensi scenari del deserto che hanno fatto sognare i lettori delle ormai tramontate letterature d’avventura e di viaggio. Soffrono le loro belle crisi di identità anche i grandi agglomerati urbani, set narrativi attraversati un tempo da insaziabili flâneur, e non di meno gli spazi racchiusi, le isole, i giardini, i luoghi deputati alla cura del sé, sentieri di formidabili percorsi di formazione.

Ci aggrappiamo pertanto con forza al ricordo dei coraggiosi vagabondaggi di Martin, ragazzo smarrito in uno spazio privo di limiti, e alla qualità delle sue “uscite” al di là del cancello di casa nel cuore della pianura argentina, al lento e minuzioso procedere nell’osservazione della flora e della fauna (come si sarebbe detto allora). Per scoprire, nell’inseguimento della Falsa Acqua, sorta di Miraggio palpitante e luccicante che lo condurrà lontanissimo, “che al mondo esistevano cose ancor più meravigliose degli echi del canneto, e che il mondo era più grande di quanto pensava”.[1]

Seppur mosso da motivi meno nobili ci è altrettanto caro il Viaggio meraviglioso di Nils Holgersson, che apprezziamo per il nitore della visione geografica della Svezia dei primi del Novecento, grazie a una disciplina che nelle abili mani dell’autrice si tramuta in narrativa d’avventura. Cogliamo così, a volo di oca insieme allo scansafatiche Nils, trasformato in una specie di Pollicino dall’incantesimo di un coboldo, un Paese nello scorrere delle stagioni e nell’alternarsi dei paesaggi: le preziose geometrie agricole delle pianure (“un’immensa tela suddivisa in una miriade di rettangolini”[2] che altro non era che la piana della Scania) e i laghi ghiacciati, gli antichi castelli e le foreste, le grandi e piccole città, alcune annerite dal fumo delle ciminiere per l’incipiente industrializzazione, le miniere e le fabbriche di fiammiferi, i porti, le strade, insomma quell’ardito canovaccio su cui Selma Lagerlöf ricamerà preziose storie e leggende.

Miracoli della classificazione di spazio e scena come quelli rinvenibili nelle strutturate descrizioni di Jules Verne, mentre, ad esempio, segue passo passo i figli del Capitano Grant, assistiti dal cartografo Paganel, nel viaggio di ricerca del padre lungo la cordigliera dell’America meridionale o, soprattutto, quando in Ventimila leghe sotto i mari il protagonista del romanzo, “professore supplente al Museo di Storia Naturale di Parigi”, compie un prodigio di abilità tassonomica osservando e etichettando dai vetri dello scafo del Nautilus la moltitudine dei pesci mediterranei.[3]

Ma i paletti teorici che sostenevano tali descrizioni del paesaggio e tale filosofia dello spazio erano ancora quelli piantati da Alexander von Humboldt all’inizio dell’800, quando fu inaugurata la prospettiva moderna del sapere geografico, “strumento scientifico di accesso al mondo”.[4]

Altrove come micromondi, non luoghi, eterotopie

Oggi, nell’avanzata postmodernità, dopo le riflessioni di Michel Foucault, i lavori del sociologo Marc Augé e l’opera degli studiosi che ne hanno ripreso e ampliato le ricerche, sappiamo che la concezione dello spazio − sia quello materiale della nostra esistenza che quello delle sue rappresentazioni, metafore “che si collocano tra l’esistente e ciò che potrebbe esistere … e altro non sono se non misure aperte del possibile”[5] − ha subito un terremoto “identitario, relazionale e storico”[6] di vaste proporzioni, dovuto allo sviluppo di nuove aggregazioni, di altri e contro spazi[7] e non-luoghi, che ne hanno minato tutte le precedenti valenze cognitive. Il fenomeno di implosione e ripiegamento dello spazio su se stesso (geograficamente esemplificato dai furori cartografici e dalle manie di localizzazione alla Google Maps che ci attanagliano) ha avuto profonde ricadute sulle ambientazioni dei mondi finzionali, complice anche la crescita del genere fantastico avvenuta con l’entrata in scena della formula del realismo magico nella nuova narrativa global e nella sfera mediatica a partire dagli anni ’80.[8] Ma, già le opere dei padri nobili del fantasy avevano anticipato la tendenza a contingentare gli orizzonti di azione dei personaggi, miniaturizzando spazi e scenari degli Altrove, attraverso l’allestimento di micromondi (dalla Contea degli Hobbit di J.R.R. Tolkien a Narnia di C.S. Lewis) per la cui raffigurazione sarebbero bastate mappe minute e particolareggiate che, in altre epoche letterarie, a stento sarebbero state sufficienti a tracciare il percorso al tesoro nell’isola di approdo di Jim Hawkins. Ed è stato solo l’inizio. In un crescendo inarrestabile si è venuta formando una galassia narrativa zeppa di non luoghi, eterotopie, Altrove sottoposti a un avanzato processo di disneylandizzazione dello spazio, in osmosi con quanto contemporaneamente succedeva nel mondo reale.[9]

Marc Augé
Michel Foucault

Basti ricordare le espressioni più note e necessariamente crossover del fenomeno – il mondo-scuola di Hogwarts in Harry Potter e le arene gladiatorie degli Hunger Games) – successi mediatici planetari; ma chi si è occupato in questi anni di letteratura per ragazzi e giovani adulti ne ha incontrati molti altri. Alcuni, significativi anche per l’indubbia qualità letteraria, si impongono all’elenco, come il Popolo del tappeto (sì, sono proprio queste le dimensioni del mondo in cui agiscono Veri Esseri Umani e Altra Gente),[10] vera prova generale, nel 1971, della più nota e complessa saga del Mondo Disco di Terry Pratchett; o la Quercia-mondo di Tobia, costretto a fuggire e a affrontare un lungo e adrenalinico viaggio, quanto può essere quello in un grande albero per un millimetrico eroe, per ristabilire la verità sulla sua famiglia;[11] o le oscure e pericolose gallerie sotto Manhattan, teatro delle gesta profetiche e seriali di Gregor nell’ambito della guerra tra il popolo dei Sottomondo e i ratti, meandri claustrofobici, non raccomandabili a chi, come il protagonista, ha sofferto d’ansia già nel breve percorso da e verso Brooklyn, quando i vagoni della metropolitana si ritrovano l’East River sopra la testa. [12] Altrove perlopiù distopici, come lo è al massimo grado il sistema di silos interrati di 100 piani, nei quali si sono rintanati i sopravvissuti dell’ennesima catastrofe nucleare;[13] o in direzione opposta il supergrattacielo che svetta per 1000 piani e copre per intero con la sua base la superficie di New York,[14] un mostro che fa impallidire il già inquietante condominio ballardiano.[15]

Sono dunque questi gli ambienti vissuti da molti giovani eroi di carta, teatri di percorsi di formazione in vitro perlopiù riservati a Io divisi e frantumati; tutti mondi finzionali per i quali la figura retorica più adatta a rappresentarli pare essere, nelle sue varie forme e sottoforme, come ha opportunamente argomentato Giovanni Bottiroli, la sineddoche, la parte per il tutto. Perché essa “non fa salti: espande o restringe, generalizza o particolarizza, ma sempre all’interno dello stesso mondo, reale o possibile. È per questo che costituisce una procedura fondamentale per l’abitatore transeunte dei non luoghi: la sineddoche gli garantisce una sufficiente porzione di identità, che gli impedirà di sprofondare davvero nell’anonimato”.[16]

Soglie e interstizi

“In limine” sono operanti soglie, luoghi di attraversamento, intermedi e interstizi. Nei miti e nel folclore le soglie, difese da strenui guardiani, costituivano per i protagonisti di riti di iniziazione, all’interno di un percorso di accesso alle prove di adultità, varchi per il passaggio dal noto all’ignoto, confini tra l’orizzonte di vita dell’eroe (il villaggio e la famiglia) e le tenebre, il pericolo (il fuori, lo spazio inesplorato). Erano confini che andavano varcati con decisione, pena la rinuncia al viaggio, per entrare “in una nuova sfera di esperienze” e realizzare il proprio destino, come ha accuratamente argomentato Joseph Campbell nel suo insuperato studio comparativo di mitologia.[17]

Siamo oggi, però, sommamente debitori al Walter Benjamin dei “Passages” di Parigi per come ha sviluppato a beneficio della modernità il concetto di soglia, elemento fondamentale di quei  rites de passage sempre più “irriconoscibili e impercettibili” nella vita moderna. “La Schwelle (soglia)”, concetto ben distinto da quello divisivo di confine, “è una zona. La parola ‘schwellen’ (gonfiarsi) racchiude i significati di mutamento, passaggio, straripamento”.[18] Quindi spazio di transizione e di trasformazione, zona grigia e complessa di indistinzione e di non opposizione tra interno e esterno, tra identità e differenza.

Così, le soglie – nel loro mutevole spessore – sono diventate sempre più spesso meta e spazio sospeso del viaggio dell’eroe, al cui interno è concesso di sperimentare una topografia del reale all’insegna dell’ambiguità, dello straniamento, dell’irrealtà, in bilico tra essere e non essere (“in transito” secondo la lezione della scuola fenomenologica di Merleau-Ponty), attraverso il grumo pastoso di realtà e immaginazione che si forma talvolta anche in impianti narrativi di natura fondamentalmente realistica.

Michel Tournier ce ne offre una perfetta esemplificazione cronotopica, in uno dei luoghi simbolo della letteratura per l’infanzia, guardando attraverso gli occhi della decenne protagonista del racconto Amandine, o, I due giardini, mentre la bambina è all’inseguimento della gatta Pussy che nel giardino abbandonato della casa vicina, protetto da un alto muro, ha scelto di partorire la sua prole. Il contrario del giardino di papà, curato e ben rasato; anche se, pure in questo possono aprirsi dimensioni inaspettate: quando lui dorme “ci si vedono delle cose! Appena prima che spunti il sole, c'è un grande viavai. Perché è l'ora in cui gli animali notturni vanno a dormire e gli animali diurni si alzano. Ma c'è un momento in cui ci sono tutti. Si incrociano, a volte si urtano, perché è nello stesso tempo notte e giorno".[19] Nel paradiso ferino oltre il muro la bambina si imbatte nel caos vegetativo, e può gustare il piacere sottile della sua zona d’ombra, dove si vivono contemporaneamente sensazioni opposte – come quelle dei grandi fiori che le accarezzano il viso e “sanno di pepe e farina, un odore molto dolce, ma che fa anche un po’ male”[20] ed è impossibile capire se è buono o cattivo – e sperimentare la doppiezza che dà malinconia e gioia, che rende contemporaneamente infelici e felici. Momenti di un percorso iniziatico che cogliamo anche nel regno segreto creato nel fitto del bosco da Jess, ragazzino che ama lavorare di fantasia e Leslie, coetanea anticonformista, il reame di Terabithia narrato da Katherine Paterson, anch’esso un luogo che irradia un forte senso di irrealtà e che risuona, con Narnia, degli echi profondi delle letture di Leslie. Nel boschetto dei pini, il posto preferito dalla ragazza, questo senso di irrealtà è ancora più accentuato, le chiome degli alberi velano la luce del sole e in quella pallida luce, per una sorta di incantesimo, si possono percepire “spiriti” che altrove non sembrerebbero altro che silenzio, un silenzio che spaventa, mentre qui finiscono per caricare di sacralità il luogo. Ed è grazie alla forza immaginativa di Leslie, che “aveva cercato di abbattere i muri della sua mente, facendogli scorgere da lontano il mondo scintillante, vasto, terribile e splendido, eppure così fragile”,[21] che cresce a dismisura la realtà, quella che per palesarsi deve attraversare la lente “magica” della fantasia per potersi in qualche modo illimpidire.

Ma gli stati di soglia non sono tutti baciati dalle molteplici sfumature della luce, come negli esempi appena citati; nella produzione contemporanea prevalgono dimensioni oscure e buie nelle quali domina l’insicurezza e la minaccia, sensazioni che ben si prestano a descrivere lo stato d’animo dei molti ragazzi e giovani adulti contemporanei  “quasi maturi”, “inbetweeners”. Ci sono, infatti, su questa terra mondi radicalmente diversi che stanno sospesi in dimensioni parallele, chiusi da porte che non si dovrebbero mai aprire e terre di mezzo come Extramondo abitate da guardiani della soglia, all’occorrenza anche assistenti magici come Melampo il cui popolo − mentre veglia affinché questi mondi non si incontrino mai − vive “nell’intercapedine delle civiltà … gallerie, sotterranei, grotte, cunicoli, metropolitane, catacombe, vecchi cinema abbandonati, palazzi in disuso, vagoni ferroviari persi sui binari morti e altri posti che non hanno più un tempo.[22] Jonas, Ragazzo Porta dotato suo malgrado del dono di percepire queste presenze, sperimenta l’enorme carico di responsabilità di far fronte, debole e insicuro come si sente, al minaccioso Mondo Nero, letale per il futuro della realtà del suo di mondi. Fare i conti con la paura e l’oscurità che sta al confine sottile tra la scelta del bene o del male è un atto di coraggio che deve essere compiuto in prima persona, muovendosi tra gli interstizi solitari della propria coscienza, quella terra di mezzo che Jonas, come tanti altri fragili eroi, deve attraversare mentre il mondo “che hai lasciato alle spalle non ti appartiene più. E quello che ti aspetta non somiglia a niente che tu abbia mai sentito o provato”.[23]

Molti, troppi per essere qui ricordati,[24] sono i travagliati percorsi identitari che in questi anni di letteratura per l’infanzia si sono consumati nell’attraversamento degli spazi di soglia; tra i più perturbanti e significativi non possiamo non accennare a Coraline,[25] al suo caleidoscopico e terrificante viaggio al di là della porta murata nel salotto della sua abitazione, alla ricerca delle radici di una genitorialità autentica; o a quello della Ragazza senza ricordi tra il popolo dei Latenti, esseri di natura inclassificabile, in fuga dalle persecuzioni subite nei secoli da parte degli umani verso l’Altronde, vero e proprio Mondo di mezzo, nascosto nelle eclave di edifici cittadini, tra le pieghe di razionali strutture architettoniche partorite dalla mente dl un sulfureo demiurgo, nell’illusione geometrica che richiama prospettive e spazialità dei mondi impossibili di M.C. Escher.[26]

Del resto, la stessa narrativa per ragazzi non è da sempre, per vocazione ed eccellenza, spazio letterario liminale e di soglia?

[1] W.H. Hudson. Il ragazzo smarrito, Milano, Mondadori, 1988, p. 23.

[2] S. Lagerlöf. Il viaggio meraviglioso di Nils Olgersson, Milano, Mondadori, 2005, p. 13.

[3]. Vedi G. Perec. Pensare/classificare, Milano, Rizzoli, 1989, p. 20-21.

[4] P. Giaccaria; C. Minca. “Geografie della soglia”, in Soglie: per una nuova teoria dello spazio, a cura di M. Ponzi e D. Gentili, Milano, Mimesis, 2012, p. 57.

[5] Ibid., p. 56.

[6] Vedi M. Augé. Non luoghi: introduzione a una antropologia della surmodernità, Milano, Elèuthera, 1993.

[7] Vedi M. Foucault. Utopie Eterotopie, Napoli, Cronopio, 2006.

[8] Vedi S. Calabrese. www.letteratura.global: il romanzo dopo il postmoderno, Torino, Einaudi, 2005.

[9]. Vedi M. Augé. Disneyland e altri non luoghi, Torino, Bollati Boringhieri, 1999.

[10]. T. Pratchett. Il popolo del tappeto, Bologna, Kappalab, 2018.

[11]. T. de Fombelle.Tobia. Un millimetro e mezzo di coraggio, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2010.

[12]. S. Collins. Gregor, Milano, Mondadori, 2013.

[13]. H. Howey. Wool. Trilogia del Silo, Milano, Fabbri, 2013.

[14]. K. Mc Gee. The Tower. Il millesimo piano, Milano, Piemme, 2017.

[15]. J.G. Ballard. Il condominio, Milano, Feltrinelli, 2014.

[16]. G. Bottiroli. “Il ‘non’ dei luoghi”, in I non luoghi in letteratura: globalizzazione e immaginario territoriale, a cura di S. Calabrese e M.A. D’Aronco, Roma, Carocci, 2005, p. 31.

[17]. Vedi J. Campbell. L’eroe dai mille volti, Milano, Feltrinelli, 1958; si veda anche C. Vogler. Il viaggio dell’eroe, Roma, Dino Audino, 2010, per una ripresa dell’analisi di Campbell in chiave narratologica, applicata anche alle sceneggiature cinematografiche.

[18]. Vedi W. Benjamin. I “passagges” di Parigi, Torino, Einaudi, 2000, p. 555. Sul tema si vedano anche: S. Monti; P. Bellomi (curatrici). Frontiere, confini, limiti, soglie: settimo quaderno del Dottorato in letterature straniere e scienze della letteratura, Università di Verona, Verona, Fiorini, 2013 e M. Ponzi; D. Gentili (curatori). Soglie: per una nuova teoria dello spazio, cit.

[19]. M. Tournier. “Amandine, o, I due giardini”, in Sette racconti, Milano, Vallardi, 1996, p. 42.

[20]. Ibid., p. 49-50.

[21]. K. Paterson, Un ponte per Terabithia, Milano, Mondadori, 2007, p. 207.

[22]. F. Carofiglio. Jonas e il mondo nero, Milano, Piemme, 2018, p. 134.

[23]. Ibid., p.312.

[24]. Di interesse sul tema si vedano anche, in ordine sparso: P. Kindl. Un’ombra oltre il muro, Milano, Mondadori, 1999; G. Montes. Altrondo, Milano, Salani, 2001; R. Montero. Il nido dei sogni, Milano, Mondadori, 2002; N. Gaiman; D. McKean. I lupi nei muri, Milano, Mondadori, 2003; T. Haugen. Gli uccelli notturni, Milano, Salani, 2004; E. Fischel. Il ragazzo che passava attraverso i muri, Casale Monferrato, Piemme, 2008; A. Ferrara. Batti il muro, Milano, Rizzoli, 2011; N. Shusterman. Il viaggio di Caden, Milano, Il Castoro, 2017.

[25]. N. Gaiman; D. McKean. Coraline, Milano, Mondadori, 2004.

[26]. F. Hardinge. Una ragazza senza ricordi, Milano, Mondadori, 2017.

Testo tratto da: LiBeR n. 120 (ott.-dic. 2018)