Intervento di Umberto Rossi
Là sono i tempi e la giustificazione dei tempi... Questo, in modo del tutto inatteso, mi è venuto in mente quando ho iniziato a scorrere le parole dell'intervista a Guido Tonelli, ospitata in questo blog, parafrasando, senza altri fini, l'inizio di un racconto di J. L. Borges. In realtà, nel racconto di Borges (il cui titolo è "Il guardiano dei libri"), la parola originale era "templi" e qui il collegamento può sembrare artificioso, mentre a me è apparso, in qualche modo, quasi poetico, come l'invito a una piccola illuminazione la cui scaturigine nasceva proprio dalle parole che incontravo leggendo.
Ma tutto questo, artificioso non è: quel che mi è stato dato di leggere e comprendere, è ancora qui che riecheggia nella mente con infinite domande di senso e non, domande che non si esauriscono in una sola voluta risposta. L'emotività fluida del lettore può rimanere turbata o incantata dal susseguirsi di immagini che la lettura può generare, benché nessuna “immagine reale” fosse presente, se non quelle di Cinzia Ghigliano che, nella rivista LiBeR che originariamente ha ospitato il contributo nel suo 136° numero, accompagnano misteriosamente il narrare dell'intervista.
È così che qui mi è stato dato modo di esplorare quei paradossi che la dicitura o, se preferite, il titolo "Le trame del tempo", invitano a esplorare ma solo se si accetta di lasciarsi contagiare, più che solamente guidare, dai dialoghi sul tempo (e i suoi paradossi e asincronie), dialoghi promossi e narrati in modo invitante da Riccardo Pontegobbi e Guido Tonelli.
Anche l'accenno al pensiero Shakesperiano che afferma: "Il tempo del mondo è fuori dai cardini", fa sì che, subito, l'idea di una porta spalancata e strappata dai suoi stessi appoggi, i cardini, vada oltre la citazione stessa dell'Amleto, citazione che qui non conforta o rassicura.
Ed è questo, alfine, che invita il lettore a procedere oltre il consueto, il sempre pensato e vissuto.
Niente è più come prima, causa lo scorrere molteplice di questo mistero che la fisica e la meccanica quantistica tentano di spiegare alla mente umana concentrata sull'immediato, sul presente, sulla memoria sfuggente, prigioniera dell'ippocampo, quella parte del cervello che noi usiamo per la formazione delle memorie dichiarative e semantiche, per la trasformazione della memoria a breve termine in memoria a lungo termine, oltre che per la navigazione e mobilità spaziale.
E qui maturano altre metafore. Letta con attenzione, l'intervista spalanca così questa porta, invitando lo scienziato a narrarci molto di più, quasi a spiegarci quel che l'intricato "Ulisse" vide alle porte del mondo, del tempo, dell'esperienza stessa del vivere. Ed è questo "Ulisse", prigioniero e incantato non dalle trame e dai canti delle sirene, bensì dall'inganno stesso della mente che si consola con un'idea di tempo lineare e prevedibile, dimostrabile, controllabile, è questo "Ulisse", dicevo, che non può fare altro che stupirsi e ammutolire davanti a Chronos, molto più che davanti al ciclope, che poi nella storia egli ebbe ad accecare con l'inganno. Perché questa è la metafora universale stessa dell'uomo: è "l'Ulisse" ad essere accecato dall'idea stessa del tempo e delle sue trame. Questo è ciò che può apparire leggendo la prima volta, e non solo... Ma ben altre sono le vie, i sentieri che si biforcano come in un labirinto senza entrate, se solo vogliamo rileggere una seconda volta, il testo dell'intervista.
E il solo accenno alle critiche mosse dai neuroscienziati che rimproverano alla fisica di negare la realtà del tempo, così come l'umano lo percepisce e vive, le crea queste entrate, senza che il labirinto nella sua forma cambi di una sola virgola. Ma non è finita qui, anzi!
Se è vero che, vivendo in un pianeta dove ci muoviamo a velocità molto piccole non possiamo osservare e sperimentare effetti relativistici, per noi umani il tempo può davvero continuare a "funzionare" come immaginavano Kant e Newton.
Ed è altrettanto vero che tutto l'universo (e in verità noi non siamo altro che l'universo preso in una delle sue parti) non può sottrarsi alle regole relativistiche che alcuni di noi - vedi Einstein - hanno intuito e suggerito come modello al quale guardare per comprendere il tutto.
E qui la narrazione si fa approfondita e stupefacente, l'intricato labirinto di concetti si apre in osservazioni e precisazioni decisamente spiazzanti, per noi che siamo abituati a ragionare in termini newtoniani o anche solo “neanderthaliani”.
Ma questo non è un nostro limite, e l'intervista lo dimostra: avvicinarci anche solo un poco alla complessità derivante dal fatto che si viva in una realtà limitativa del percepito, utile ovviamente alla sopravvivenza ma inadeguata per comprendere il Nome della Verità, dei Fatti e delle Cose, può aiutarci davvero a scardinare la porta del Tempo, dello Spazio e della nostra ottusa, incolpevole visione.
Ripensavo così, in odor di metafora, a Ulisse, al ciclope Polifemo (a cui andrebbe restituita la dizione originale, Πολύϕημος ) e alla sua visione monoculare.
Egli, a causa del suo unico occhio, non percepiva le distanze e la posizione degli oggetti e della natura, come a noi è invece consentito, grazie al fatto che la disparità fra le due immagini percepite e fuse dal cervello in un'unica scena, fornisce istantaneamente la distanza prospettica fra noi e ciò che ci circonda. Questo, ovviamente, lo limitava nella misura delle cose, e l'inganno dell'Odisseo fu reso più facile (e accolto dal figlio di Poseidone e della ninfa Toosa), come verità indimostrata, così come sono da noi tutti accolte, le Trame del Tempo.
Per alcuni visibili, per altri, invisibili.
Ed è così che accade a noi quando pensiamo alla realtà del tempo e dello spazio.
Proprio come quella visione della realtà che Polifemo condivise con i suoi simili, cioè, un'immagine falsata!
Perciò, rileggendo il testo dell'intervista e le sue parti, quasi come volumi separati, raccolti in una “Biblioteca di Babele” scritta ben oltre il finale che Borges le diede, lascia danzare lo sgomento insieme alla meraviglia, lo stupore insieme alla voglia di conoscere oltre. E' vero, abbiamo due occhi e due emisferi: ma la nostra vista è limitata all'osservabile. E quel che abbiamo fin qui scoperto sul Tempo, non è che una piccola porzione del tutto.
Possiamo gioirne o disperarci o ignorare. Sta a noi avere curiosità sufficiente a superare lo sgomento. E la meraviglia e la lettura di questa intervista è un invito a non fermarsi davanti all'ombra che il sole proietta. Sollevato lo sguardo, la curiosità ci può permettere di vedere la causa dell'ombra che vediamo proiettata davanti a noi anche se non ne capiamo l'origine, perché non possiamo riconoscere noi stessi, come origine dell'ombra che stiamo osservando. Perché noi siamo il Tempo e la "giustificazione del Tempo", cosi come, fin qui, lo abbiamo percepito e vissuto.
Ma l'intervista va oltre, narra dei paradossi “apparenti” nati dall'ipotesi dei possibili “viaggi nel tempo”, compreso quelli che l’intervistatore fa notare, accennando alle osservazioni astronomiche attuali, che permettono di “vedere” l'Universo, così come era oltre tredici miliardi anni fa, senza però spostarci da qui dove siamo seduti, senza comprimere lo spazio e il tempo, senza bisogno di tecnologie ancora non disponibili.
Interessante è anche la parte finale dell'intervista dove Guido Tonelli risponde a due domande distinte: la prima è sulla possibile suggestione che l'ipotesi di fermare quella macchina divoratrice che è Chronos, il “Tempo”, possa generare attenzione nelle nuove generazioni. La seconda è relativa ad altri progetti editoriali prossimi venturi e, come la prima, tocca l'argomento del possibile interesse da parte dei giovani rispetto al tema trattato. Le risposte di Tonelli confortano, confermando questa aspettativa, dando speranza per un futuro dove i giovani stessi non cessino mai di esercitare legittima curiosità, oltre a un genuino interesse per la scienza, per il tempo e le sue trame, un interesse che non smetta mai di essere presente e vitale.
Per concludere, confesso che ho sentito e sento il bisogno naturale di rileggere più volte il tutto, le domande precise e dirette e le risposte ampie, ben ordinate e chiare nei concetti, benché la materia sia per sua natura controintuitiva, così come lo sono tutte le scienze che si occupano dell'infinitamente piccolo, guardando all'infinitamente grande. Non avrei perciò provato stupore nel trovare questo intricato sentiero di concetti, domande precise e concrete, seguite da risposte plaudenti alla curiosità, allo stimolo e all'approfondimento, pubblicato su qualche rivista scientifica nota, internazionale. L'averlo perciò letto su LiBeR mi ha sorpreso, incuriosito, illuminato e appagato al contempo.
Umberto Rossi
Artista concettuale, cartoonist, autore satirico, illustratore, narratore, creativo freelance at Freelance meta-mediale. E' autore con Angela Maria Napoli del libro per ragazzi, Non abbiate paura dei bambini!, Gruppo Albatros Il Filo, 2022