La moglie di Dante
Solferino, 2021, 554 p.
€ 20,00 ; Età: da 15 anni
Recensione di Paola Benadusi Marzocca
La Storia trascina nell’oscurità tanti personaggi che meriterebbero attenzione e riconoscimento. Gemma Donati la moglie di Dante Alighieri, il sommo poeta della Divina Commedia, è tra questi.
“Della moglie di Dante, Gemma Donati, solo accenni timidi e imbarazzanti”, scrive Marina Marazza nel suo avvincente romanzo. Che cosa l’ha spinta a scrivere questo libro? “Si parla così tanto di suo marito che mi sembra il momento giusto per far conoscere anche lei, anzi, far conoscere questo illustre marito attraverso lei…”. Giovanni Boccaccio ”non si sa bene perché, in preda a un attacco di misoginia, dopo avere detto che Dante si sposò per consolarsi della morte di Beatrice, attaccò una filippica feroce sui guasti del matrimonio e su quanto sposarsi sia un errore per i grandi uomini sapienti e per i filosofi, generando così la leggenda di una moglie di Dante degna di una Santippe di infaustissima memoria.”
Le leggende hanno spesso un fondo di verità, ma in questo caso il romanzo in questione lo sconfessa: Gemma ebbe il privilegio e la sventura di vivere in tempi segnati da avvenimenti di grande rilievo in una Firenze travagliata da lotte intestine tra guelfi bianchi, guelfi neri, ghibellini. Sullo sfondo la famosa battaglia di Campaldino nella piana del Casentino avvenuta l’11 giugno del 1289, il giorno dedicato a San Barnaba a Firenze, contro gli aretini. Fu uno scontro particolarmente sanguinoso, destinato a rimanere nell’immaginario popolare per secoli. A Firenze non si parlava d’altro. I magnati e i ricchi mercanti combatterono a cavallo, il popolo a piedi. Tutti parteciparono per la difesa del governo comunale, lo stesso Dante a cavallo con la lancia in resta tra i più giovani a rispingere la carica massiccia dei nemici.
Le donne erano a casa a pregare e ad occuparsi delle faccende della vita quotidiana, figli, anziani, bestie e servitù. Tra loro c’era la giovane Gemma, bella ragazza dai folti capelli rossi, di carattere energico e indomito, cresciuta in un’atmosfera di serenità e benessere familiare e molto legata ai cugini Piccarda e Corso Donati, che accompagneranno il suo cammino per tutta la vita. Nella preziosa scacchiera che Corso donò a Gemma per il matrimonio con Dante, c’era scritta una frase che rimase impressa nella memoria della ragazza: “Vivi la vita come un gioco” e per Corso, soprannominato il “Barone” sarà davvero così. Biondo e bello, arrogante e aggressivo, sapeva trascinare le folle con la sua eloquenza. Gemma così lo descrive: “Selui parlava erano parole di guerra, contro gli aretini, contro i nemici di Firenze, contro il popolo che pretendeva di comandare i magnati.” Dante lo detestava, ma durante il suo esilio la presenza di Corso a suo modo innamorato della cugina, fu importante per l’incolumità della famiglia.
Attraverso la voce narrante di Gemma balza vivido lo scenario sociale e politico di Firenze dell’inizio del Trecento, teatro di drammatici mutamenti in un fragilissimo equilibrio italiano, tenuto in piedi con un intrigato complesso di rapporti, in un oscillamento continuo di forze bilanciate e disordinate. I comuni italiani ridotti a combattere in un impari duello l’urto delle forze straniere e l’ostilità del papa. Dante, come racconta Gemma, si impegnò in prima persona nel governo della città dilaniata dalle fazioni e dalla violenza; vide e raccontò l’incendio delle passioni; decise di andare a Roma per perorare la causa di Firenze contro Carlo di Valois presso Bonifacio VIII. Da quel fatidico viaggio iniziò la sua fuga e l’esilio. Gemma racconta tutto questo insieme alle vicende della sua famiglia, la preoccupazione per i figli, il dolore e la nostalgia per il marito che amava, l’ingiustizia da lui subita dagli “scelleratissimi fiorentini” che giunsero a condannarlo a morte e alla confisca dei beni. La sua fama di immenso poeta si propagava intanto di corte in corte ovunque, a macchia d’olio con gli immortali versi della Divina commedia.
Emerge dalla narrazione tutta su basi storiche ed estremamente vivace e ricca di colpi di scena la figura di una donna sola ad appena trent’anni, attenta ai problemi economici, che segue gli avvenimenti importanti della sua città per motivi personali, ma anche perché è in grado di seguirli. Sicuramente Gemma non viveva pensando solo alle faccende domestiche e alle pratiche religiose. Era certa che attraverso la volontà l’uomo potesse agire contro il caso. E questo suo credo era sorretto da una grande fiducia in Dio. Dio è per lei ovunque nella vita e nella morte; è una presenza determinante nella salvaguardia dei figli stessi. C’è in questo romanzo anche un mondo femminile di donne che sono in buoni rapporti, si aiutano a vicenda e costituiscono un nucleo familiare di cui fanno parte anche gli schiavi, considerati all’epoca un fatto del tutto normale. Ci sarà un lieto fine: la riunione di Gemma con Dante a Ravenna. Ma in tutto questo che cosa rappresenta Beatrice? Un’allegoria, una proiezione poetica; la sua donna ha un altro nome, “è lei Gemma, quella che l’ha fortemente voluto e non lo ha mai abbandonato.”
Marina Marazza
È specializzata in tematiche di storia, di società e di costume. Collabora con diverse riviste tra cui Io Donna.
È autrice di romanzi, saggi e narrative non fiction, tra cui i più recenti titoli usciti con Solferino L’ombra di Caterina (2019), Io sono la strega (2020, vincitore del Premio Salgari, del Premio Asti e del Premio Selezione Bancarella 2021), Miserere (2020), e Le due mogli di Manzoni (2022, vincitore del Premio Acqui Storia).