“Daxa Toxic”: la storia di Sacha, ragazzino autistico che in Bangladesh aiuta gli amici a combattere contro la crudeltà del lavoro minorile

Dacca Toxic: cronache lunari di un ragazzo bizzarro

Catherine Fradier; traduzione di Ilaria Piperno e Sante Bandirali

Uovonero, 2024, 169 p. (I Geodi)

€ 15,00 ; Età: da 12 anni

Recensione di Eugenia Marzocca, psicologa psicoterapeuta

Il romanzo Dacca Toxic di Catherine Fradier per la ricchezza di temi e atmosfere rende perfettamente fatti terribili e spaventosi di uomini e animali che connotano la realtà quotidiana di una città come Dacca, la capitale del Bangladesh,“la città più inquinata del mondo”. E tutto ciò è raccontato da un ragazzino autistico. “Un autistico di livello 1”. Che cosa significhi è ben noto ai nostri giorni anche se le interpretazioni degli psicologi sono varie e il merito è anche di libri come questo. Non sempre essere autistici implica deficit di intelligenza, spesso comporta attività ristrette e ripetitive, scarsa interazione sociale. Il linguaggio non sempre presente è usato per avanzare richieste senza ricerca di condivisione.

Nel caso del nostro protagonista, Sacha Sourieau, il discorso cambia. Il ragazzo ha un’intelligenza superiore alla media; è  bravissimo a matematica, ma ha seri problemi quando deve comunicare con gli altri, soprattutto coetanei, né riesce a interpretare in forma immediata le consuetudini sociali e soprattutto non sa controllare le proprie emozioni. Altra sua caratteristica è l’inclinazione a interessarsi in modo esclusivo a temi precisi, molto specifici e a volte complessi e importanti con un atteggiamento quasi ossessivo che esclude ogni altro campo di conoscenza che richieda attenzione.

Ma torniamo al romanzo. Sacha è a Dacca perché la sua mamma è la dottoressa Sourieau, impegnata come medico per una ONG. Qui incontra una ragazzina di nome Sultana che lavora con turni massacranti e in condizioni disumane in una conceria, che non avendo nessuna protezione sia per adulti che per ragazzi, ha perso un occhio e viene quindi ricoverata nel campo base dell’Associazione “Il Rifugio”. Nessuno degli operai che lavorano in questa struttura indossa una maschera e per la maggior parte del tempo sguazza a piedi e mani nude in pozzanghere di acido corrosivo che toglie il respiro e ferisce la pelle. “A Hazaribagh la vita media non arriva a cinquant’anni.” Il fratello di Sultana più grande di lei, Dilip, è dipendente di un macello, dove viene violata costantemente la legge con l’appoggio della classe politica. In Bangladesh i bambini possono lavorare per cinque ore, in realtà lavorano “almeno dodici ore al giorno, sette giorni alla settimana. ”Dilip vuole rivolgersi al Sindacato dei conciapelli sperando che risarciscano la sorella, ma la polizia vuole farlo tacere e si accorgerà che anche i capi dei Sindacati vogliono la stessa cosa. Sacha sarà suo malgrado coinvolto da Dilip in una estenuante e pericolosa fuga attraverso luoghi che sono definiti dal ragazzo “le cucine dell’inferno”. Non solo gli uomini e i bambini qui sono maltrattati, ma anche gli animali da macello, le vacche in questo caso, torturate prima di essere “decapitate, eviscerate, squartate”.

Il nostro protagonista rimarrà sconvolto da tanta crudeltà ma anziché cedere, tirerà fuori tutto il suo coraggio per aiutare l’amica ricorrendo al suo intuito particolare e alle sue  indubbie doti intellettive.

Catherine Fradier

Ha fatto svariati lavori tra cui la poliziotta nella brigata notturna del 13° arrondissement di Parigi e l’agente di sicurezza. Ha viaggiato molto prima di diventare autrice, sceneggiatrice e scrittrice di racconti a tempo pieno. Ha ricevuto il Grand prix de littérature policière nel 2006 e il Premio SNCF per i thriller francesi nel 2008. Il suo primo romanzo per ragazzi, Una piccola cosa senza importanza, è stato pubblicato in Italia da Uovonero con la traduzione di Ilaria Piperno.