Le terre immaginate. Un Atlante di Viaggi Letterari
A cura di Huw Lewis-Jones
Milano, Salani, 2019
256 p., € 35,00
Recensione di Riccardo Pontegobbi
In principio era la mappa. Lo fu per J.R.R. Tolkien che, orgogliosamente, rivendicò di aver dato vita al suo universo narrativo iniziando da una mappa e di averci poi fatto entrare la storia e, francamente, si stenta a trovare un’affermazione che meglio di questa esprima il senso della meritoria operazione editoriale compiuta dall’editore Salani, proponendo in traduzione italiana il volume curato dallo storico dell’arte e naturalista inglese Huw Lewis-Jones.
A partire dal manufatto: bel formato in-quarto, copertina rigida e accattivante sovra-coperta, layout elegante e ben 167 illustrazioni, di cui non poche sviluppate su doppia pagina, donano al volume un aspetto di corposo e raffinato atlante, attrattivo alla vista e al tatto e meritevole anche solo per questo di una piacevole consultazione, assistita com’è dalle esaustive didascalie — quasi un testo parallelo — poste sui colonnini laterali.
I contributi che compongono il volume, frutto dell’attenta scelta compiuta dal curatore su un’ampia platea di competenze disciplinari, restituiscono in pieno quanto già promesso nel didascalico titolo, sviluppando una vera e propria cartografia letteraria, un atlante di viaggi di immaginazione compiuti da scrittori classici e contemporanei. La forma adottata non è quella del dizionario, come in altri casi illustri, con le voci dei luoghi e i relativi toponimi ordinati alfabeticamente (a questo scopo provvederà l’accurato indice analitico posto in apparato, accanto a brevi presentazioni degli autori, suggerimento di altre letture, fonti delle citazioni e delle illustrazioni), ma quella del saggio storico e critico e della testimonianza d’autore. E sono oltre 20 gli autori coinvolti, tutti di lingua inglese, tutti fortemente affezionati alla “mappatura” letteraria — attività piuttosto praticata nel mondo anglosassone e posta al confine tra “cartofilia” e “isola-mania” (come confessa R. McFarlane indicando nella mappa del tesoro di R. Stevenson il germe della sua dipendenza) — tutti chiamati in causa per il rapporto intrattenuto con le mappe degli scrittori.
Chi per esserne stato da romanziere e raccontatore un compulsivo creatore (come P. Pulmann fin dal suo stato di Razkavia ideato per La principessa di latta; o C. Cowell con le isole, i draghi e i maghi che infestano le carte delle sue storie fantasy; non meno di J. Harris re-inventore per il ciclo dei Runemarks di Yggdrasil, universo mitologico vichingo tradizionalmente sospeso tra i rami di un grande frassino; o ancora D. Mitchell di cui sono mostrati i taccuini zeppi di cartine, abbozzi di storie e idee per L’atlante delle nuvole; e P. Torday con gli schizzi per il suo bestseller L’ultimo branco selvaggio; o gli itinerari immaginari disegnati su vere carte geografiche da A. Elphinstone…).
Chi da illustratore o graphic designer per averle poste su carta o sui media digitali (come la quadridimensionale Mappa del Malandrino, caratterizzata da innumerevoli pieghe e pieghettature realizzata da M. Mina per il film Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban; le “Terre Selvagge” di Tolkien mappate da D. Reeve per la trilogia cinematografica dello Hobbit; le ambientazioni in ritagli di cartone, palline da ping-pong, vecchie viti e ovatta da imbottitura, per il mondo lunare dei Clangers, allestito in forma di spettacoli di burattini nella TV dei ragazzi da P. Firmin…).
Chi infine da lettore/giocatore/spettatore per averle compulsate in giovane età e… molto anche dopo (come il mondo dei librigame e dei Dungeons & Dragons, “forse il più grande boom di terra immaginaria della storia” secondo L. Grossman; o le tavole anatomiche dell’interno del corpo umano adorate da B. Selznick, autore di bestseller quali La straordinaria invenzione di Hugo Cabret e Il tesoro dei Marvel…).
Nei due contributi introduttivi del curatore si delinea il viaggio attraverso il patrimonio di mappe di luoghi immaginari presenti in alcuni classici e romanzi per ragazzi — “da Asgard a Utopia, attraverso Narnia e Oz, l’Isolachenoncè e Westeros, nella Terra di Mezzo e a Mondo Disco … per raggiungere la nostra personale Xanadu” — e si incardinano alcuni dei concetti intorno ai quali muoveranno gli approfondimenti autoriali.
Fra questi, l’analisi delle ragioni del piacere — Eco direbbe della vertigine — provato nella lettura di una mappa: come ogni buon libro, come ogni buon atto di lettura, le mappe sono piene di “stupore, possibilità, avventura”, nascono dalla stessa fonte, l’immaginazione, da cui scaturiscono le storie. Il parallelismo tra mappe e storie, linguaggio dell’esplorazione e linguaggio della narrazione, è forse il punto di massima convergenza tra i vari contributi, un tema che ogni autore insiste e arricchisce a suo modo: chi come J. Harris che vede nella spinta all’attività esplorativa, il voler sapere cosa c’è oltre l’orizzonte, corrispettivo in termini di scrittura del “che cosa succede dopo”, ingrediente basilare dell’attività narrativa e non di meno dell’atto di lettura; o chi come R. Larsen che vede in azione, nella capacità delle mappe di raccontare storie, il principio della selezione rappresentativa, come in letteratura, il cui potere proviene sia da ciò che viene mostrato o detto, sia da ciò che è lasciato all’immaginazione del lettore/osservatore pronto a riempire la mappa o il testo di particolari non presenti nell’opera. D’altronde, già J.L. Borges attraverso il paradosso della “Mappa dell’Impero in scala 1:1” aveva sapientemente tolto ogni velleità a chi pensava di poter esaurire graficamente la realtà, compiendo una sorta di usurpazione del territorio da parte della mappa. Perché, in fondo, il bello delle mappe è la loro parzialità e la loro incompletezza e come ci ricorda il curatore: “le mappe danno inizio a una storia. Ci mandano in nuove terre, inducendo i nostri piedi a camminare e la nostra mente a galoppare. Ci informano e ci suscitano stupore. Ci forniscono guida e direzione e ci mostrano l’estensione di un territorio, ma quanto all’insieme più grande, possono solo suggerircene l’esistenza. Scoprirlo sta a noi”.
Testo tratto da: LiBeR n. 126 (apr.-giu. 2020)
Huw Lewis-Jones
E' uno storico, editore, giornalista televisivo e art director britannico. Precedentemente storico e curatore d'arte presso lo Scott Polar Research Institute dell'Università di Cambridge, Lewis-Jones ha lasciato Cambridge nel giugno 2010 per dedicarsi a progetti editoriali e televisivi.