Supereroi contemporanei e nuovi codici di abbigliamento - di Riccardo Pontegobbi
Non sembrano rimaste molte chances agli apprendisti supereroi dei nostri tempi nella scelta degli irrinunciabili costumi, dopo più di un secolo di invenzione fumettistica e dopo che la fantasia degli autori ha cucito addosso a una folta schiera di personaggi indumenti di ogni foggia, taglia e colore. Lo sa Heck, protagonista tredicenne di un toccante romanzo di Martine Leavitt.[i] Il ragazzo è di nuovo in missione speciale: si tratta di liberare una mamma, la sua, dall’”ipertempo”, quello stato di resa incondizionata alle responsabilità e di caduta nel mal di vivere che può affliggerti quando è già dura sbarcare il lunario e il padrone di casa ti chiude fuori perché sei troppo indietro con l’affitto. L’impresa di ritrovare la donna scomparsa e rimettere insieme i pezzi della famiglia richiede poteri speciali, che Heck non disdegna di coltivare in una sua personalissima miniera di immaginazione, altruismo e talento nel disegno di supereroi. Ma quale può essere l’emblema cromatico, e quindi identitario, del suo destino supereroistico? Rispondendo ai suggerimenti di una commessa di un centro commerciale, Heck si rende conto che la maggior parte dei colori sono già stati presi: il nero a Batman, il verde a Lanterna, il rosso all’Uomo Ragno, il blu a Superman… e vista la sua competenza sull’argomento potrebbe continuare a lungo nell’elencazione di combinazioni e sfumature se non fosse che il discorso sembra proprio non avere alcun senso per l’interlocutrice.[ii] Senso che invece è ben presente al ragazzo, il cui immaginario è intessuto di codice vestimentario fumettistico; il colore e la simbologia dei costumi, possono svelare molto sulla natura e sulla caratura — sociale, etica, politica, ideologica e non ultima estetica — dei personaggi e aprirci a tutta quella platea di significati che sono stati in grado di giustificare il ruolo di indispensabili icone assunto da questi nell’ambito della cultura pop dei loro tempi.[iii]
Sarebbe più facile con i tessuti? Chissà! Per abbigliare i supereroi è stato davvero dato fondo ai magazzini della fantasia da parte dei più improbabili “stilisti”: a partire dall’uniforme di Superman, probabilmente ispirata ai costumi degli uomini forzuti, che negli anni ’30 si esibivano nei circhi, o dai pantaloni miracolosi che non si strappano, essendo costituiti da molecole instabili che si adattano alle contrazioni e alle espansioni fragorose di Hulk, o alla portentosa tela dell’Uomo Ragno — capace di supportare per combinazione di forza e elasticità, secondo i dati riportati nel serissimo studio del fisico James Kakalios, le imprese mirabolanti del giovane Peter Parker[iv] — fino al ferro in placche dell’armatura di Iron Man (e di altri suoi pesanti epigoni). Per non parlare degli innumerevoli cambiamenti di colore, forma e tecnologia a cui il vestiario di quasi tutti i personaggi si è piegato nel corso della lunga storia delle serie fumettistiche e soprattutto nei passaggi di queste dalla carta al cinema.
Nel sistema della moda supereroistica si fa perciò fatica a trovare oggi adeguata e originale collocazione, tanto che i giovani eroi che ultimamente hanno calcato le scene delle narrative infantili e Young Adult, sembrano aver attinto a guardaroba meno eccentrici o sofisticati di quelli tradizionali, ma non per questo meno carichi di valenze simboliche e di caratteri di identità individuali e collettive.
Cosa c’è, infatti, di più intimo di un paio di mutande o di un pigiama? E chi avrebbe mai potuto prevedere che questi modesti indumenti, calzati come inusuali costumi, insieme a una forte carica di umorismo e di follia, avrebbero regalato un successo planetario ad altrettanto improbabili supereroi da cameretta dei bambini? Eppure è successo. Quello che in casa è lo spazio per il riposo, il gioco e lo studio è diventato una sorta di “rifugio segreto” dei PJ Masks-Superpigiamini, base di partenza di ogni avventura, serialmente innescata dall’indosso del pigiama da parte dei tre rassicuranti protagonisti, dalla recitazione della formula di rito ad opera di una voce fuori campo e dalla trasformazione seduta stante del comodo indumento in una strutturata e aderente tutina colorata completa di maschera.
Quanto alle mutande, sono bianche e ascellari quelle indossate da Capitan Mutanda, protagonista di avventure ad alto tasso di demenzialità, nate dal genio comico e scanzonato di Dav Pilkey; costume, questo, interpretato ai minimi termini e piuttosto ridicolo, che alla tradizione concede solo il vezzo di uno svolazzante mantello rosso a pallini neri, annodato al collo dell’obeso capitano. Si sa, il mantello è uno di quegli accessori a cui illustratori, cartoonist e soprattutto supereroi rinunciano con più fatica e non solo per il tocco di eleganza che esso può donare al personaggio di turno.[v] Ma è anche ad altri capi di abbigliamento che bisogna guardare per leggere l’evoluzione dei nuovi codici vestimentari: la felpa, in particolare, immancabilmente dotata di cappuccio, ha conquistato gli armadi di solito piuttosto sguarniti di molti giovani e meno giovani supereroi di questi anni.
Nata negli Stati Uniti negli anni ’30 del Novecento ad opera dello storico marchio della Champion, come abbigliamento invernale da lavoro, la felpa (in slang Hoodie) ha lentamente e inesorabilmente scalato le impervie montagne della moda, modificandosi e adattandosi ai tempi e ai gusti di un pubblico sempre più giovane (o evergreen), affermandosi come uno dei capi casual più usati e abusati fino ad assurgere a icona cult della contemporaneità. È diventata costume di eroi working class come Rocky Balboa, per riscaldare le sue indimenticabili sedute di allenamento; anonima tenuta d’ordinanza di writers, skaters e giovani delinquenti “sulle strade della California”; abito di scena per rapper, musicisti underground e break dancer di ogni latitudine; ma anche provocatorio anti-status symbol indosso (a Wall Street) al miliardario Mark Zuckerberg, inventore di Facebook; per finire tra evoluzioni e reinterpretazioni in mano ai più sofisticati marchi internazionali da Abercrombie & Fitche a Dolce & Gabbana, da Calvin Klein a Armani.
Dunque, vestiario mutante, la felpa, mutante come i corpi adolescenti (o crossover) che è chiamata ad avvolgere, adatta all’epoca attuale, segnata dalla scomparsa di culture spettacolari autentiche — quelle originali forme di aggregazione metropolitana, di prevalente matrice proletaria, che dagli anni ’50 ai ’90 hanno scandito le epoche della moda e dei modi di vivere delle tribù giovanili, dai mods agli skinhead, dai punk ai seguaci dell’hip-pop — epoca caratterizzata dal trionfo del “supermercato dello stile”, postmoderna modalità culturale di ripescaggio sistematico degli elementi stilistici delle subculture passate.[vi] Paradigma del vestire informale, trasandato, spesso grottescamente oversize, la felpa — e i suoi naturali accessori, jeans e sneakers — è così l’abbigliamento che più si conforma a quel protagonista indiscusso dell’immaginario emergente dalle letterature giovanili e dalla sfera mediatica, comunemente e sbrigativamente chiamato “Schiappa”, “Imbranato”, “Sfigato”, ma forse più appropriatamente etichettabile come “Invisibile”.
Occorre allora ritornare a Heck. Il compito che si è assunto, trovare la madre che si è nascosta chissà dove e traghettarla fuori da uno stato depressivo immobilizzante, è davvero superiore alle sue forze e richiama responsabilità stritolanti anche per gli adulti, ai quali, peraltro, deve nascondere la sua situazione. Con “l’angolo giusto” e il cappuccio calato sugli occhi si può così diventare praticamente invisibili, sfuggire agli sguardi delle guardie giurate nei centri commerciali, scansare qualche bulletto per strada, stare al sicuro per un po’, quel tanto che basta per portare a termine con successo la propria ricerca.[vii] È quanto succede anche a Miki, ragazzo invisibile di nome e di fatto, nel romanzo portato sullo schermo da Gabriele Salvatores; debole, insicuro e con scarsa autostima, è vittima di Ivan e Brando, uno strano assortimento di bulli. Come non apprezzare e praticare allora l’invisibilità vestimentaria che, paradossalmente, condivide come il vestiario lower class con l’ottuso Ivan, il cui padre, appena uscito di prigione, scarica su di lui ogni impulso violento.[viii] Lo stesso bisogno di anonimato veste, per ragioni talvolta opposte, tanti altri giovani e meno giovani eroi. Come il quattordicenne Donald che, affetto da leucemia e sottoposto a pesanti cure di chemioterapia, usa il cappuccio per nascondere il cranio a mosaico e nel frattempo non fa che disegnare un fumetto su Miracleman, supereroe “politicamente scorretto”, che non muore mai;[ix] o il goffo e rintronato Enzo Ceccotti, il superhero di Tor Bella Monaca;[x] ma pure il paranoico e asociale hacker newyorkese Elliot Alderson in lotta contro la multinazionale E Corp,[xi] e lo spietato veterano e giustiziere Frank Castle in The Punisher.[xii] Un piccolo esercito di eroi invisibili con indosso una divisa stazzonata e spesso ambivalente, come solo la felpa può esserlo, nel suo adattarsi a spiantati e miliardari, giustizieri e delinquenti, ragazzi e adulti. Come succede nel micromondo degradato delle gang giovanili che operano nella periferia londinese, campo di battaglia in cui si muove rigorosamente occultato sotto il cappuccio al pari dei criminali a cui dà la caccia, il sedicenneTom Harvey, supereroe 2.0, fluido e pulsante come la Rete, a causa di pezzi di iPhone conficcati nel cervello e chiamato a far giustizia per lo stupro della ragazzina di cui è innamorato.[xiii]
Il rimanere fuori dai radar, lo scomparire alla vista, la condizione di “trasparenza” (e gli strumenti e le manovre atti a conseguirli), hanno largo spazio nei profili dei protagonisti delle narrative giovanili di questi anni (e come abbiamo visto non solo in queste), sono metafora efficace di una condizione di precarietà psicologica e sociale, solitudine, isolamento, spesso deprivazione — e specularmente di richiesta di attenzione e di affetto — che segna molte vite di ragazzi e adolescenti. Nella fiction come nella realtà, però, non sempre il provvidenziale cappuccio può mettere al riparo dall’attenzione altrui e garantire il lieto fine; a volte — è il caso di Trayvon Martin, diciassettenne afro-americano ucciso nel 2012 in Florida da un vigilantes, insospettito dal fatto che stesse camminando di sera in un quartiere bianco con il cappuccio della felpa alzato — questo “accessorio”, caricato di forte valenza simbolica, può diventare catalizzatore di pregiudizio.[xiv]
La felpa, dunque, non meno di altri blasonati costumi da supereroe, è vestimento gravido di simbolismi, significati e funzioni. Tra queste, in onore alla migliore tradizione araldica, non poteva mancare quella apotropaica ben interpretata da Bob Axelrod, finanziere villain di Billions: al momento di rilanciare la propria compagnia specializzata in fondi speculativi, attraverso un giro di incontri con grandi clienti, si rende conto che il suo costosissimo abito griffato non è il costume adatto per l’impresa e, lui che viene dalla strada e si è fatto da solo, deve indossare la sua seconda pelle streetwear style, la felpa appunto.[xv] Con intenzioni altrettanto forti, non può che portare una poco raccomandabile t-shirt dei Megadeth, quando è chiamato allo scontro con il procuratore distrettuale Chuck Rhoades (altro grande villain) che sta indagando sui suoi illeciti finanziari.[xvi]
Insomma, SuperHoodie è ormai leggenda e… veste come noi![xvii]
- Leavitt. Bella la mia vita da supereroe, Milano, Salani, 2008.
- , p. 37.
- Vedi I. Baio. Supereroi: araldica e simbologia dell’eroismo dai miti classici a Superman e The Authority, Latina, Tunué, 2006, dove si indagano a livello simbolico colori, stemmi e marchi che caratterizzano i più noti personaggi dei comics rintracciandone i fondamentali archetipi culturali.
- Vedi J. Kakalios. La fisica dei supereroi, Torino, Einaudi, 2007, p. 69.
- Come ha dichiarato Todd McFarlane Kakalios. La fisica dei supereroi, Torino, Einaudi, 2007, p. 69.
- Come ha dichiarato Todd McFarlane, autore di Spawm e disegnatore di una recente versione di Spider Man, in risposta a una domanda sul personaggio preferito: “Batman. La prima ragione è che mi piacciono i mantelli, com’è evidente in Spawm: aiutano a creare profondità nel foglio”. In Corriere della Sera – La Lettura, (10 dic. 2017), p. 41.
- Vedi A. Giancola (curatore). La moda nel consumo giovanile: strategie & immaginari di fine millennio, Milano, FrancoAngeli, 1999.
- Leavitt. Bella la mia vita da supereroe, cit.
- Fabbri; L. Rampoldi; S. Sardo. Il ragazzo invisibile, Milano, Salani, 2014.
- McCarten. Morte di un supereroe, Milano, Salani, 2009.
- Lo chiamavano Jeeg Robot, di Gabriele Mainetti, Italia, 2015.
- Robot, serie televisiva statunitense, creata da Sam Esmail e andata in onda a partire dal 2015.
- The Punisher è stato fumetto dagli anni ‘70, film poi e infine serie televisiva nel 2017.
- Brooks. iBoy, Milano, Piemme, 2017. Vedi anche D. Solomons. Mio fratello è un supereroe, Novara, De Agostini, 2017. Qui il giudizio sul carattere ambiguo del costume è lapidario, quando Zack, novello supereroe, dopo aver rinunciato al mantello, indossa per la prima volta la divisa: “una felpa nera con il cappuccio sopra un paio di jeans, anche loro neri, e delle vecchie e squallide scarpe da ginnastica grigie” e chiede al fratello: “Allora, che cosa ne pensi?”, tirandosi su il cappuccio in modo da coprirsi il volto.” “Che la gente penserà che tu stia per rapinarla, invece che salvarla”! (p. 44).
- La vicenda ha infiammato a lungo gli Stati Uniti dando anche vita nel 2013 alla “Million Hoodie March” a New York, con i partecipanti al corteo in memoria del ragazzo ucciso che indossavano felpe con cappucci calati in testa. L’abbigliamento ormai assurto a icona dell’immaginario collettivo afro-americano è anche il costume di Luke Cage, primo supereroe nero, passato in serie televisiva dalle forti implicazioni politiche alla fine del 2016.
- “La conversazione”, Billions, serie televisiva statunitense, Prima Stagione, episodio n. 12 (10 apr. 2016).
- “Il giuramento”, Billions, cit., Seconda Stagione, episodio n. 4 (12 mar. 2017).
- Poteva pertanto mancare un Superhoodie? Certo che no! L’eroe in nero e felpato, dotato del potere dell’invisibilità, è apparso nella serie britannica Misfits uscita dal 2009 al 2013.