Intervista di Riccardo Pontegobbi a Davide Morosinotto
Con più di 30 romanzi all’attivo, dopo l’esordio del 2009 nel settore ragazzi, Davide Morosinotto oltre ad essere tra gli autori italiani per ragazzi più prolifici attualmente in carriera è, a ragione, considerato un fuoriclasse dell’avventura, genere che in numerose occasioni egli ha contribuito a rilanciare proponendo opere di grande appetibilità per i giovani lettori. Il suo più recente lavoro, Temporali, edito da CameloZampa, si colloca invece nel campo della letteratura fantascientifica.
Bologna, 19 maggio, ore 11.56: un ordigno esplode in un liceo della città. Siamo al Tempo Zero, quello dell’evento che dà il la all’intreccio. Poi, altri tempi si avvicendano, quelli prima e quelli dopo il Tempo Zero, in un continuo saltare dall’uno all’altro, come esige il plot di questo romanzo fantascientifico dai molti riferimenti cinematografici e seriali, veloce e ritmato come un film d’azione. D’altra parte, l’obiettivo di Michela Falco, la giovane protagonista in forza a un segretissimo corpo speciale di agenti temporali e dunque addestrata ai viaggi nel tempo, è far sì, mediante opportuni “aggiustamenti”, che proprio l’evento del Tempo Zero non si verifichi. Ci riuscirà, visto che dovrà lottare oltre che con complessi eventi del passato anche con chi ha organizzato il complotto ed è sempre un passo davanti a lei? Tutta giocata al presente, in uno stato di vibrante tensione narrativa, questa storia mette a dura ma piacevole prova alcune consolidate convinzioni del lettore, dal concetto di causalità a quello di linearità del tempo e non manca di far riflettere su possibili risvolti personali e sociali degli sviluppi tecnologici a venire in un futuro molto prossimo.
Il romanzo è uscito in due versioni, sviluppate in due diversi volumi con copertine di diverso colore — verde quella “Intreccio” che segue l’ordine romanzato dei capitoli e rossa quella “Fabula” che mette i capitoli in stretto ordine cronologico degli eventi.
D. La narrativa fantascientifica non è un genere che finora hai poco praticato, se si eccettua La notte dei biplani uscito per Fanucci nel 2011?
R. In realtà non è del tutto esatto… credo di aver scritto soprattutto fantascienza, in vita mia, anche se non ha avuto molto successo. Parecchi romanzi mi sono rimasti nel cassetto, anche se uno finì in finale al premio Urania nel 2004. Poi la serie Code Lyoko (con lo pseudonimo di Jeremy Belpois), la serie Skyland (con lo pseudonimo David Carlyle), la serie Dentiere spaziali (con lo pseudonimo di Jonathan Spock).
D. In appendice a Temporali dichiari che per scrivere questo romanzo hai dovuto imparare da capo il tuo mestiere. Perché? Il Tempo non è sempre e comunque il filo conduttore e l’impalcatura di ogni storia scritta?
R. Io di solito scrivo in modo molto istintivo, senza una scaletta, senza sapere che cosa succederà da una pagina all’altra. E questa incertezza per me è importante, è la curiosità che mi spinge ad andare avanti nel lavoro. In questa storia però non era possibile seguire la mia solita tecnica, perché se il Tempo non è più lineare, ma si muove avanti e indietro, per poter raccontare devi conoscere tutte le sue direzioni e possibilità. Quindi mi serviva una scaletta. Una scaletta complicatissima, tra l’altro. Ci ho messo quasi un anno a scriverla, su Excel, e gestire i mille incastri è stato molto faticoso e, anche, molto utile. Ho dovuto imparare a usare “muscoli” che non sapevo nemmeno di avere, ho dovuto inventare nuove tecniche per fare quello che normalmente faccio in modo del tutto diverso, e così facendo, ho imparato molto, credo. Sono felice di questo percorso.
D. Questa è davvero una storia sul Tempo, nella quale gli eventi sono imbullettati ai battiti dell’orologio: nell’arco dei poco più dei due giorni nei quali si consuma la vicenda, ogni secondo è prezioso, ogni minuto ha una sua precisa funzione. L’impressione, leggendola, è che ti sia divertivo molto a manipolare il Tempo, tanto da pensare che il vero Agente Temporale non sia tanto il personaggio di Michela Falco, ma l’autore stesso.
R. Quello che tu identifichi è stato, in realtà, uno dei grandi problemi del romanzo. Se l’autore guida il suo racconto, significa che non possono più farlo i personaggi. E questo di conseguenza implica che i personaggi non siano più autentici, non siano più vivi. Muoiono loro e muore la storia. Nel corso della lavorazione l’ho scoperto nel modo peggiore: sono arrivato in fondo, nel senso che ho proprio scritto tutto il libro, e quando l’ho riletto ho deciso che non mi piaceva per niente. Non sentivo i personaggi e le loro emozioni. Come dici tu: l’Agente ero io. Quindi ho buttato via tutto e sono ripartito da capo. E devo dire che è andata meglio: ormai avevo già introiettato la struttura, e ho potuto lasciare spazio a loro, alle voci. Michela, Ron ed Enrico sono tornati dove dovevano essere fin dall’inizio: al centro. Almeno ci ho provato! Perché rileggendo la tua domanda, forse, non ci sono ancora riuscito al 100%... ma è un po’ il rischio del mestiere, e sono sempre felice di correrlo.
D. A proposito di manipolazione, che sembra diventata la parola chiave per la lettura della realtà del nostro tempo, nel romanzo si sviluppa una lotta all’ultimo sangue tra “aggiustatori” del passato e aspiranti manipolatori del futuro. Cosa ci dobbiamo aspettare… siamo messi così male?
R. Ah, saperlo, che cosa ci dobbiamo aspettare! Penso che viviamo in un’epoca davvero imprevedibile, forse la più imprevedibile della storia dell’umanità. Gli ultimi anni lo dimostrano. Abbiamo così tante sfide davanti. Alcune sono chiare a tutti: dalla lotta alle pandemia a quella al cambiamento climatico. Altre sono più nascoste: per esempio cosa fare, e come gestire, le intelligentissime Intelligenze Artificiali che abbiamo creato, e che stanno diventando molto in fretta molto più in gamba di noi. La maggior parte delle persone oggi non ha idea di come possano scrivere i computer, anche in modo creativo, e come possano fare deduzioni, previsioni accuratissime sul nostro mondo e il suo funzionamento… Cosa faremo noi uomini di tutte queste nuove meraviglie? Come ci alleeremo con entità digitali che pensano quello che noi non siamo capaci di pensare? Credo che per cavarcela dovremo diventare tutti più saggi, studiare molto, e mettere alla prova tutte le nostre capacità.
D. Quali sono i riferimenti narrativi, filmici e seriali di questa storia?
R. Moltissimi… Così tanti che non credo di ricordarmeli tutti, da film come Ritorno al futuro, Deja vu, Source Code, ovviamente Inception e Il giorno della marmotta, alle serie TV di Travelers e Manifest, e ancora tanti romanzi. Da quelli legati ai viaggi nel tempo e all’uso che volevo farne (la serie degli Oxford Time Travelers, A world without you, Replay, Le prime quindici vite di Harry August), a romanzi young adult che avevano un rapporto tra ragazzi interessante (per esempio Cercando Alaska), a romanzi che avevano una dinamica da libro gioco o sperimentavano con gli ordini di lettura (per esempio Storia di due anime).
Poi ci sono i riferimenti di cui non sono consapevole, una lettrice l’altro giorno mi ha detto che ci ha ritrovato un po’ di Umbrella Academy, che adoro. E i riferimenti di non fiction sono altrettanto importanti, a partire da L’ordine del tempo di Rovelli.
D. Nei precedenti romanzi hai utilizzato prevalentemente tempi verbali narrativi (imperfetto, passato remoto, ecc.); questa volta hai scelto di raccontare al presente indicativo. A cosa dobbiamo la novità? Quale funzione attribuisci alla scelta dei tempi verbali nelle tue storie?
R. Ogni storia è unica e ha bisogno di essere narrata a modo suo. Non è mai, per me, una scelta consapevole… succede e basta. Quando ho cominciato a scrivere Temporali, l’ho fatto col classico passato remoto, tanto con quello non si sbaglia mai. Però poi mi sono accorto che, mentre scrivevo, passavo naturalmente al presente. Per un po’ ho provato a correggere: interi pomeriggi in cui dicevo “ecco che torna il presente, maledizione”, e sistemavo riportando tutto un capitolo al passato. Alla fine mi sono arreso. Se questa storia voleva così tanto essere raccontata al presente, perché oppormi? Lasciamola fare, mi sono detto. E forse, la razionalità dietro questa scelta così istintiva, è che nel libro esistono due Tempi che si incontrano. Quello oggettivo, dell’orologio, e quello soggettivo dei personaggi che vivono ogni momento. E noi viviamo al presente, non c’è niente da fare. Abbiamo solo quello.
D. La scelta editoriale di presentare due versioni del romanzo sviluppate in due diversi volumi — quella “Intreccio” che segue l’ordine romanzato dei capitoli e quella “Fabula” che mette i capitoli in stretto ordine cronologico degli eventi — che significato ha? Normalmente è il lettore, via via che avanza nell’intreccio, a ricostruirsi la fabula. Non sarebbero stati sufficienti allo scopo i pur presenti due indici finali? E che tipo di risposta dei lettori hai avuto finora?
R. La volontà di distinguere un ordine Fabula e uno Intreccio, e lasciar scegliere ai lettori quale seguire, è nata… dalla mia incapacità di scegliere. Mentre lavoravo alla storia non riuscivo a decidermi, dei pezzi mi sembravano più giusti in un modo, dei pezzi in un altro. E in una storia di viaggi nel tempo, mi sembrava interessante lasciare la possibilità di trovare una propria, personale soluzione del puzzle. Quindi ne ho parlato con Sara e Francesca, le meravigliose editrici di Camelozampa (perché i libri sono sempre un lavoro di squadra). A quel punto abbiamo fatto diversi esperimenti, diversi mock up del romanzo, per esempio prevedendo una modalità di lettura sfruttando l’indice, come giustamente dici tu, oppure immaginando dei simboli in fondo a ogni capitolo per guidarti su dove andare dopo. Però non eravamo mai convinti, e soprattutto, dato che il libro è fatto di 60 capitoli molto corti, si finiva sempre a passare il tempo a sfogliare le pagine, invece che concentrarsi sulla storia. Alla fine, esausto, una sera, ho proposto: “Sentite, e se facessimo due libri diversi?”. Invece di rispondermi che ero pazzo, loro hanno telefonato sul momento al distributore, per chiedergli se l’idea di fare due libri era sostenibile, o avrebbe fatto impazzire quel lato della catena. Hanno messo giù e mi hanno fissato. “Allora?” ho detto. “Allora dice di sì, che li faremmo impazzire” ha risposto Sara. “Ma siamo sicure di poterli convincere”. E così è andata. E a quanto pare finora alle lettrici e ai lettori questo gioco sta piacendo. Alcune persone si sfidano, anche, perché chi legge in un modo e chi nell’altro si fa idee diverse sul libro e i suoi personaggi, e quindi il confronto diventa interessante. Io ascolto, leggo, e mi diverto un sacco.

Testo tratto da: LiBeR n. 136 (ott.-dic- 2022)
Davide Morosinotto
Giornalista, traduttore ed esperto di editoria digitale, da molti anni lavora nel settore dei videogame. Ha pubblicato, anche sotto pseudonimo, più di trenta romanzi per ragazzi con vari editori italiani: Mondadori, Rizzoli, Einaudi Ragazzi, Piemme. Alcuni dei suoi libri sono stati tradotti in una dozzina di lingue. Nel tempo libero ama leggere, viaggiare, giocare, andare in moto. Nel 2017 ha vinto il Superpremio Andersen con Il rinomato catalogo Walker & Dawn (Mondadori). Molti sono i suoi riconoscimenti internazionali: è stato finalista al Deutscher Jugendliteraturpreis in Germania, ha vinto il Prix des Bouquineurs en Seine in Francia, il Vlag en Wimpel nei Paesi Bassi e il KJV nelle Fiandre.