Cercasi discolo disperatamente: la mutazione del villain nella letteratura per ragazzi

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Personaggi e campioni del "politicamente scorretto" nella letteratura per ragazzi - di Riccardo Pontegobbi

Bisogna ringraziare i cattivi perlomeno di una cosa: senza di loro, le narrazioni sarebbero noiosissime. Una storia in cui tutti sono buoni è come un hamburger di cartone e senza patatine fritte (Fernando Savater)

Con i buoni sentimenti si fa cattiva letteratura (André Gide)

Corre l’anno 1962 quando Il giovane Umberto Eco contribuisce con l’”Elogio di Franti”[1] a dare energia a una corrente di critica militante che individua nel conformismo e nel perbenismo di certa letteratura — in questo caso l’”esemplare” Cuore, testo fondante di un filone a lungo attivo nella  letteratura italiana per l’infanzia, attivo quasi quanto lo è stata l’influenza dell’opera nella formazione dei “fanciulli” italiani, protrattasi fino agli anni ’60 del Novecento —  uno degli strumenti più efficaci per la trasmissione dei modelli di vita e di pensiero dominanti. Forzando un po’ la mano potremmo considerare l’”Elogio” come un intervento ante litteram sul tema oggi molto dibattuto del “politicamente corretto”, un graffiante contributo volto a misurare (e denunciare) l’adesione di Edmondo de Amicis al clima politico, sociale, ideologico, pedagogico e morale, creato dall’egemone borghesia post-unitaria, intorno agli anni ’80 dell’800.

 

Chiavi di volta della critica di Eco sono il riso e il disprezzo, ambigui strumenti di critica anticonformista dei modelli imperanti e, talvolta, segnali di incipiente rivolta proletaria, ai quali uno come Franti ricorre spesso per cavarsi d’impaccio, come quando ormai al culmine della sua carriera “criminale” in Cuore (dopo il gestaccio sparirà definitivamente dalla scena del romanzo), di fronte alla madre supplicante e stravolta dal dolore, “l’infame sorrise”.

Ma il pamphlet di Eco è interessante anche per il modo con cui lo studioso affronta il tema del “personaggio”, per come sviluppa caratteristiche e profila destini dei piatti protagonisti di Cuore — nella ipotesi controfattuale di un loro avveramento nella realtà, a partire dalla fine dell’Ottocento fino all’avvento del regime fascista — provando a esplorarne potenzialità e ruoli. Che piega potrebbero prendere i “buoni”, gli Enrico Bottini, i Derossi, i Garrone… e quale posto potrebbero occupare in questo mondo i reietti e i cattivi, gli infami della schiatta di Franti?

Già una decina d’anni prima Italo Calvino nel Visconte dimezzato aveva proposto, quella che ci piace leggere anche come un’illuminante riflessione sulle conseguenze della dimidiazione del “personaggio”. La storia è esemplare: Medardo,  visconte di Terralba, giovane entusiasta e inesperto, nella guerra contro i turchi è diviso a metà da una cannonata presa in pieno petto. La parte sinistra è ridotta in poltiglia, la destra miracolosamente integra viene ricucita e rabberciata e Medardo può tornare a casa incappucciato e intabarrato in un mantello nero che gli drappeggia il corpo mutilato. Ma, la metà sopravvissuta, come dimostreranno gli innumerevoli atti di crudeltà dei quali si renderà protagonista il visconte e che getteranno nel panico sudditi e servitori, è quella cattiva. Cattiveria, la sua, avidamente centellinata e non mitigata da alcuna remora morale o sentimentale. Ma, ciò che si credeva sbriciolato in guerra, la metà sinistra di Medardo, torna a Terralba dopo anni di peregrinazioni, accompagnato da uno strascico di atti di pura e semplice bontà. La compresenza dei visconti finisce per gettare nella disperazione l’intero regno: al terrore che accompagna gli atti malvagi del Gramo si somma il fastidio per quelli di carità del Buono, per l’ostinata bontà e la virtù disumana del predicatore, “cerimonioso e sputasentenze”, del curatore di anime che non conosce vie di mezzo, tanto che perfino tra i lebbrosi si comincia a dire: “Delle due metà è peggio la buona della grama”.[2] Solo il duello tra i due, le inevitabili ferite e l’intervento di un abile chirurgo faranno sì che le parti divise possano finalmente tornare a combaciare: “Medardo ritornò uomo intero, né cattivo né buono, un miscuglio di cattiveria e bontà, cioè apparentemente non dissimile da quello ch’era prima di esser dimezzato. Ma aveva l’esperienza dell’una e l’altra metà rifuse insieme, perciò doveva essere ben saggio”.[3]

La metafora del taglio e il tema del dimezzamento vantano illustri precedenti nella storia del pensiero occidentale; proprio alle sue origini si situa il mito platonico degli androgini (Simposio): esseri primordiali spaccati a metà da un fulmine scagliato dagli irosi dei, e trasformati in uomini e donne, destinati da lì in avanti a inseguire spasmodicamente la metà perduta, nella speranza di ricomporre l’ancestrale unità. Unità che, per gli uomini e le donne di questo mondo, come per i personaggi dei romanzi, significa mescidanza, convergenza e coesistenza di opposti elementi e pulsioni. Ciò che ha reso grandi, i grandi personaggi della letteratura è, infatti, la misura della loro ambivalenza e il loro grado di accoglienza e di rappresentazione di contrapposte qualità. In letteratura, come altrove, i cedimenti al manicheismo, purtroppo frequenti, finiscono per banalizzare l’atto di scrittura, come potrebbe fare un obsoleto e improbabile capoclasse che col gessetto in mano, ancora oggi, tracciasse la linea netta alla lavagna per distinguere tra i buoni e i cattivi della classe.

Ma, arriviamo ai nostri giorni per commentare un recente saggio di Walter Siti[4] che propone una acuta riflessione critica sul “politicamente corretto”. Secondo l’autore, il destino di opposizione al potere e al perbenismo che ha segnato la storia del romanzo è adesso, almeno in Occidente, seriamente messo in discussione da una deriva di carattere pedagogico che vuole impedire alla letteratura di arrecare danni al lettore, avvicinandolo a idee malsane (quali sono quelle di maschilismo, razzismo, fascismo, ecc.). Così facendo alla letteratura viene attribuito il compito (“la missione”) di compiere il bene, di operare terapeuticamente per “riparare” il mondo. “La versione oggi prevalente dell’engagement punta su un contenutismo tanto orientato dalla cronaca quanto angusto, con temi che non è difficile elencare: migranti, vari tipi di diversità, malattie rare, orgoglio femminile, olocausto, bambini in guerra, insegnanti eroici, giornalisti o avvocati in lotta contro il Potere, criminalità organizzata, minoranze etniche”.[5] Le conseguenze di tale atteggiamento portano gli autori a prestare minore attenzione alla forma e allo stile  —  scopo primario dei testi è conseguire il massimo dell’efficienza nella comunicazione, attraverso alti indici di leggibilità e trasparenza —  e a provocare una netta polarizzazione dei concetti in gioco, in particolare quelli che afferiscono alla distinzione fondamentale tra il Bene e il Male.  Da parte sua, Siti non esclude affatto che la letteratura “possa spingerci all’odio, degli altri e di noi stessi, e possa arrivare a farci dubitare di qualunque verità; che serva a mettere ordine nel caos, ma anche caos nell’ordine. Politicamente la letteratura è sempre inaffidabile … si fonda sull’ambiguità, sull’ambivalenza (detesto/amo, sono io/non sono io) e sulla suggestione irrazionale.”[6]

Fenomeni simili si sono verificati anche nel campo della letteratura per ragazzi? Crediamo proprio di sì, nonostante che, fin dalla “pionieristica” prima fase di sviluppo, avviatasi alla metà degli anni ’80 del secolo scorso, la letteratura per l’infanzia si sia caratterizzata per l’innovazione di temi e linguaggi, ad opera di nuovi autori stranieri e italiani che avevano fatto propria un’idea della lettura libera per scelta e per piacere, ancorata a un ostinato contrasto verso qualsivoglia didatticismo, pedagogismo e moralismo, rifiutando così di essere in qualche maniera cinghia di trasmissione di modelli di pensiero dominanti.[7] Con l’andare degli anni, però, sono intervenuti enormi cambiamenti, una vera e propria riconfigurazione della produzione (l’avvento del global novel) e del mercato (l’orientamento al consumatore più che al lettore), un autentico cambio di paradigma avvenuto a partire dalla metà degli anni ’90, concretizzatosi nella forte spinta all’offerta di novità e nella crescita della serialità, fattori questi risultati attanaglianti per molti autori. Ma, non andiamo troppo oltre in questa sommaria escursione nel campo della sociologia della letteratura; solo quanto basta a dirigere l’attenzione su come, pesantemente, editori e autori (con vari livelli di responsabilità) siano stati sottoposti dal mercato allo stress di un continuo cambiamento di interessi, regole e obiettivi, fatto, questo, che andrebbe analizzato approfonditamente per ricavare criteri di giudizio su molte scelte autoriali, probabilmente condizionate più da spinte e pulsioni del mercato che da autentici interessi letterari, convinzioni ideologiche, scelte etiche e vocazioni personali.

Giunti fin qui, vorremmo tirare le fila di questo ragionamento con un breve excursus che speriamo si presti a esemplificare almeno una porzione dei fenomeni discussi. Vorremmo affidare ai discoli, ai monelli, ai perdigiorno, ai disobbedienti, ai birbanti, ai maleducati, agli sgarbati, alle pesti… l’ingrato compito di testimoniare il defilarsi dalla scena della letteratura infantile contemporanea del bad boy ambiguo e ambivalente.

Rappresentativi di un’infanzia poco perbene, ma tanto necessaria, questi campioni del “politicamente scorretto” hanno a lungo riempito i serbatoi di  immaginazione e di pensiero divergente della letteratura, contribuendo strenuamente al tentativo di liberarla dalle pastoie e dagli obblighi di riverire alla morale corrente. Perennemente in bilico tra il finire carcerati in collegio o essere sottoposti al regime di sorveglianza dei servizi sociali, questi rappresentanti dell’irriverenza meritano almeno un accenno. Ne omaggeremo pochi, ma “buoni”. In primis, Giannino Stoppani[8], guardando ai suoi memorabili e atroci scherzi che costeranno al futuro cognato, l’avvocato socialista Maralli, mangiapreti (solo ufficialmente) e candidato alle elezioni nazionali, la perdita di una cospicua eredità e dell’agognato seggio. Che dire poi della vera e propria fabbrica di monelli gestita dalla premiata ditta Lindgren: un doveroso inchino davanti alla grandezza di Pippi (pur senza ignorare Emil il terribile e Lotta, la combinaguai)[9]. Né si può dimenticare Pierino, bugiardo e ladruncolo[10], che ha scelto come campo di battaglia per le sue malefatte il mercato di Luino del mercoledì, e che resiste imperterrito agli sforzi dei genitori e degli istitutori, volti a trasformarlo in un bambino “buono, devoto e rispettoso”.  E Oltralpe, Nicolas[11] e i suoi amici, tra i quali spiccano il ghiotto Alceste, Eudes campione di sberle e pugni, Clotaire, asino della classe e, non ultime due femmine, per la cui presenza nella banda Nicolas è disposto a menare chiunque ostacoli il loro diritto a farne parte. Indimenticabile poi, Dakota[12], punk decenne sboccata, superattiva, coraggiosa, che vive tra pesciolini d’argento, carrelli dismessi del supermercato e anguille mutanti in un casermone sporco e crepato, occupandosi, a modo suo, tra un’avventura e l’altra, di una madre abbandonata dal marito. E come non indicare a un provvidenziale recupero editoriale, la meno nota Suzie Lawrence[13], i cui “lati positivi” sono, a detta di una sua insegnante, l’essere sguaiata, aggressiva, sboccata, infingarda; eppure pronta, proprio grazie alla sua ignoranza delle regole e alla sua potente empatia, a battersi per cambiare le cose e le persone in una triste casa di riposo per anziani, dove si trova a svolgere un tirocinio scolastico. Un plauso anche a Prisca[14], alunna non modello, che in occasione della tradizionale distribuzione natalizia dei regali ai poveri, organizzata dalla maestra Sforza, risponde con una tagliente poesiola inventata lì per lì,  all’ispirato e sdolcinato carme recitato in onore dei reietti da un’esemplare compagna. E, infine, Papelucho, monello incompreso di buone intenzioni che tenta di rimediare ai mali del mondo e ai disastri della sua vita, in buona parte creati da lui stesso, ma “la vita è così e … quello che si vuole fare bene riesce male”. [15]

Al posto di questi bambini e adolescenti, perlopiù definiti “difficili” (e lo sono, se non altro da capire), lentamente, ma pervasivamente, soprattutto negli ultimi 15-20 anni, il modello del villain ha mutato forma, assumendo i contorni del bullo[16], ottuso e violento, statica figurina da album degli orrori, mentre il buono è diventato vittima[17], aggregandosi il più delle volte all’esercito delle schiappe. Una tavolozza di personaggi, dotati di una loro pienezza di colore e di una “naturale” rotondità, ha virato in molti casi verso una palette a superficie piatta, la cui tonalità prevalente è risultata il netto bianco e nero, povero di sfumature e chiaroscuri.

In tutto ciò riconosciamo uno dei sintomi (sicuramente non il più significativo) del disagio di una letteratura che, in tanti suoi rappresentanti, non nutre interesse nell’indagare la complessità, nell’andare alla scoperta delle zone d’ombra dell’essere umano, dei confini labili tra Bene e Male e non ha il coraggio di spingersi, come sarebbe auspicabile, fino al termine della notte.

[1]. U. Eco. “Elogio di Franti”, in Diario Minimo, Milano, Bompiani, 1962.  Sempre su Cuore, gustoso e impareggiabile ancor oggi è il siparietto organizzato da Paolo Poli, nel ruolo di spalla di Umberto Eco, in uno degli episodi della trasmissione televisiva Babau, registrata nel 1970 in quattro puntate, rivolte a indagare i caratteri negativi dell'italiano medio (mammismo, conformismo, arrivismo, intellettualismo), ma andata in onda solo nel 1976, a causa della censura imperante in RAI in quegli anni.  Lo sketch è ancora reperibile su YouTube: https://www.youtube.com/watch?v=7EvMnVph-eI.

[2]. I. Calvino. Il visconte dimezzato, Milano, Mondadori, 2004, p. 100.

[3]. Ibid. p. 109.

[4]. W. Siti. Contro l’impegno: riflessioni sul Bene in letteratura, Milano, Rizzoli, 2021.

[5]. Ibid., p. 25. E anche: “L’idea di una letteratura che-fa-bene si appoggia di solito su basi contenutistiche: c’è una lista di argomenti di sicura presa, tutti tesi a far crescere la solidarietà, l’amicizia, l’amore, la passione per l’uguaglianza, per la libertà, per la giustizia e la democrazia. Anche la lotta, purché dalla parte giusta”. Ibid. p. 195.

[6] Ibid. p. 185-186.

[7]. Come non riconoscere in una dichiarazione dello scrittore Pinin Carpi, quando vide nell'abbandono dei "propositi pedagogici" e nel "dar respiro ai valori emozionali, poetici, ai libri che affascinano ed entusiasmano", uno degli elementi scatenanti di questa memorabile stagione letteraria.

[8]. Vamba. Il giornalino di Gian Burrasca, Firenze; Milano: Giunti, 2017.

[9]. A. Lindgren. Pippi Calzelunghe, Milano, Salani, 2013;  Id. Emil il terribile, Milano, Salani, 2005; Id. Lotta combinaguai, Milano, Mondadori, 2015.

[10]. P. Chiara. Le avventure di Pierino, Milano, Mondadori, 1990.

[11]. R. Goscinny; J. Sempé. I cinque libri del piccolo Nicolas, Roma, Donzelli, 2008.

[12]. P. Ridley. Dakota delle Bianche Dimore, Milano, Salani, 1991.

[13]. S. Glover. Abbasso le regole!, Milano, Salani, 2003.

[14]. B. Pitzorno. Ascolta il mio cuore, Milano, Mondadori, 1991.

[15].  M. Paz. Papelucho, Roma, Anicia, 2006, p. 42.

[16]. Un’interessante approfondimento del fenomeno del bullismo e del tema del bad boy, svolto attraverso un’ampia carrellata di personaggi letterari è in E. Bardellino, F. Benincasa. Bulli di carta: la scuola della cattiveria in cento anni di storia, Torino, Società Editrice Internazionale, 2010.

[17]. Oggi l’immaginario vittimistico è diventato predominante, l’immaginario, non i poveri reali la cui esistenza “viene utilizzata per una visione sentimentale del mondo … la compassione prende il posto della responsabilità e della lucidità razionale, la vittima mitologica è privata della propria interezza, del diritto all’errore e all’odio e (perché no?) alla mediocrità”, W. Siti. Contro l’impegno cit., p 156.

Testo tratto da: LiBeR 132 (ott.-dic. 2021)